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Trend e novità – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest La nutrizione in pratica Thu, 23 Jun 2022 08:35:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.4 https://testing.sprim.it/~nutrimitest/wp-content/uploads/2019/09/favicon-2.png Trend e novità – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest 32 32 Scelte alimentari e percezione del gusto: che ruolo hanno i nostri geni? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/scelte-alimentari-e-percezione-del-gusto-che-ruolo-hanno-i-nostri-geni/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/scelte-alimentari-e-percezione-del-gusto-che-ruolo-hanno-i-nostri-geni/#respond Thu, 23 Jun 2022 08:22:50 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=79934 I risultati di un recente studio hanno evidenziato che i geni legati al gusto sembrano svolgere un ruolo importante nel determinare le scelte alimentari che potrebbero, a loro volta, influenzare lo stato di salute. Si tratta di uno dei primi studi che esamina come la genetica legata alla percezione di tutti e cinque i gusti – dolce, salato, acido, amaro e umami – sia associata al consumo e alla preferenza di specifici gruppi di alimenti.

Una nuova misura: il punteggio di gusto poligenico

I ricercatori hanno utilizzato i dati di precedenti studi di associazione genomica per identificare le varianti genetiche associate a ciascuno dei cinque gusti fondamentali. Hanno utilizzato queste informazioni per sviluppare una nuova misura nota come “punteggio di gusto poligenico” che fornisce una singola stima dell’effetto cumulativo di molte varianti genetiche sulla percezione di un determinato gusto. Un punteggio poligenico più alto per l’amaro, ad esempio, significa che una persona ha una maggiore predisposizione genetica a percepire i sapori amari.

I ricercatori hanno quindi analizzato i punteggi del gusto poligenico, la qualità della dieta e i fattori di rischio cardiometabolico di 6.230 adulti del Framingham Heart Study. I fattori di rischio comprendevano la circonferenza della vita, la pressione arteriosa, il glucosio plasmatico e le concentrazioni di trigliceridi e colesterolo HDL.

I risultati dello studio

Nel complesso, l’analisi ha identificato alcune associazioni tra i geni legati al gusto con i gruppi di alimenti e i fattori di rischio cardiometabolico. I dati hanno rivelato che i geni legati ai gusti amaro e umami potrebbero svolgere un ruolo particolare nella qualità della dieta, influenzando le scelte alimentari, mentre i geni legati al dolce sembrano essere più importanti per la salute cardiometabolica.
Ad esempio, i ricercatori hanno scoperto che i partecipanti allo studio con un punteggio più alto di gusto amaro poligenico mangiavano quasi due porzioni in meno di cereali integrali a settimana rispetto ai partecipanti con un punteggio più basso di gusto amaro poligenico. I ricercatori hanno anche osservato che un punteggio di gusto poligenico umami più alto era associato al consumo di meno verdure, in particolare quelle rosse e arancioni, e che un punteggio di gusto poligenico dolce più alto tendeva a essere associato a concentrazioni di trigliceridi più basse.

I risultati, seppur di uno studio preliminare, sembrano suggerire l’importanza di considerare maggiormente il binomio gusto – categorie alimentari quando si studiano i determinanti dei comportamenti alimentari così da poter, in futuro, utilizzare queste informazioni per elaborare consigli dietetici personalizzati.

Lo sapevi che…

Il gusto è un senso che consente al nostro corpo di identificare le sostanze nutritive e tossiche?

Nonostante sia possibile percepire diverse sostanze chimiche, quelle riconoscibili sono solo i 5 sapori fondamentali: amaro, dolce, acido, salato, umami. L’acido, ad esempio, consente di individuare ed evitare l’ingestione di alimenti avariati. L’amaro consente di distinguere alimenti potenzialmente dannosi evitandone l’ingestione. Il salato regola l’assunzione di ioni e composti necessari a mantenere l’equilibrio salino. Il dolce si associa ai nutrienti energetici, infine, il gusto umami consente di riconoscere gli aminoacidi che caratterizzano gli alimenti proteici.

  1. Julie E. Gervis, Jiantao Ma, Chui K., Alice H. (2022). Association of Taste-Related Genes With Diet Quality and Cardiometabolic Risk Facitori Among Community-Dwelling Adults – The Framingham Heart Study.

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Avena nelle diete gluten-free: recenti scoperte ne confermano la sicurezza d’uso https://testing.sprim.it/~nutrimitest/avena-nelle-diete-gluten-free-recenti-scoperte-ne-confermano-la-sicurezza-duso/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/avena-nelle-diete-gluten-free-recenti-scoperte-ne-confermano-la-sicurezza-duso/#respond Wed, 01 Jun 2022 14:07:14 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=78195 La mancanza, fino a poco tempo fa, del completo sequenziamento del genoma dell’avena ha ostacolato gli sforzi per decifrare la sua complessa storia evolutiva e le sue dinamiche geniche ma, grazie a un lavoro di ricerca recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, per la prima volta è stato presentato un genoma di riferimento di alta qualità, presentando al contempo diverse prove a sostegno della sicurezza dell’avena nelle diete prive di glutine.

Avena: storia e caratteristiche del cereale

L’avena (Avena sativa L.) è un cereale che si pensa sia stato addomesticato più di 3.000 anni fa, mentre cresceva come pianta infestante nei campi di grano, farro e orzo in Anatolia. È un membro delle Poaceae, una famiglia di graminacee di importanza economica che comprende grano, riso, orzo, miglio comune, mais, sorgo e canna da zucchero.
Le specie di Avena esistono in natura come diploidi, tetraploidi ed esaploidi e presentano la massima diversità genetica intorno al Mediterraneo, al Medio Oriente, alle Isole Canarie e all’Himalaya. Attualmente, è una coltura globale con una produzione che si colloca al settimo posto tra i cereali.
Rispetto ad altri cereali, la coltivazione dell’avena richiede meno trattamenti con insetticidi, fungicidi o fertilizzanti.
L’avena integrale è una fonte di antiossidanti, acidi grassi polinsaturi, proteine e fibre alimentari come il β-glucano, importante per la risposta glicemica post-prandiale e per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Inoltre, diversamente da cereali come il grano, l’orzo e la segale che conservano elevate quantità di proteine del glutine nei loro chicchi, l’avena conserva proteine globulari nei chicchi, mostrando il suo potenziale come possibile alimento parte dell’alimentazione quotidiana nei soggetti che necessitano di seguire una dieta senza glutine.

Avena: sequenziamento del genoma e ruolo nell’alimentazione gluten-free

Il team di ricerca internazionale che ha lavorato a questo studio, è riuscito a portare a termine un progetto complesso e ambizioso, sequenziando come anticipato per la prima volta l’intero genoma dell’avena, per un totale di circa 80mila geni distinti in due set cromosomici. Oltre a aver identificato le specifiche motivazioni per cui l’avena presenta un elevato contenuto in β-glucani (fibre solubili presenti note per ridurre il colesterolo nel sangue e la risposta glicemica post-prandiale), la codifica genetica ha portato a identificare le proteine di conservazione dell’avena e il loro rapporto rispetto alla salute umana, con focus sull’alimentazione nelle diete gluten free. A tal proposito, è emerso che le globuline dell’avena costituiscono il 75-80% del contenuto proteico del cereale, mentre le prolamine (avenine) rappresentano circa il 10-15%. Queste ultime sono ritenute responsabili di scatenare la celiachia, le allergie alimentari e l’asma del panificatore.
Le avenine e le globuline dell’avena hanno mostrato tendenze opposte rispetto ai loro omologhi del frumento per quanto riguarda il numero di copie geniche, la lunghezza delle proteine e l’arricchimento in residui di glutammina e asparagina che fungono da deposito di azoto; insieme a ciò, sono state evidenziate marcate differenze nei siti di legame dei fattori di trascrizione specifici per la risposta ai nitrati, il che contribuirebbe al ruolo primario delle globuline dell’avena nell’immagazzinamento dell’azoto. Questi sono solo alcuni dei risultati che confermano che l’organizzazione genomica, le caratteristiche di sequenza e i modelli di espressione delle proteine di immagazzinamento dell’avena presentano maggiori somiglianze con il riso e le piante dicotiledoni rispetto al grano e agli altri cereali ricchi di glutine. Inoltre, lo studio ha mappato gli epitopi delle cellule T associati alla celiachia sulle avenine dell’avena e li ha confrontati con gli epitopi delle cellule T delle prolamine del frumento e dell’orzo. I risultati hanno mostrato che solo un sottoinsieme di proteine avenine codificate conteneva regioni immuno-reattive associate alla celiachia, rispetto all’alta prevalenza riscontrata nel grano o nell’orzo.

Nel complesso, quindi, il basso numero di copie di geni che codificano epitopi della celiachia, la bassa frequenza di epitopi di cellule T rilevati nella sequenza proteica, la scarsa presenza di altre proteine altamente immunogene, la proporzione di avenine all’interno della proteina totale dell’avena e l’immunogenicità relativa degli epitopi delle avenine sono tutti elementi che supportano l’inclusione dell’avena nelle diete senza glutine.

  1. Kamal, N., Tsardakas Renhuldt, N., Bentzer, J., Gundlach, H., Haberer, G., Juhász, A., … & Sirijovski, N. (2022). The mosaic oat genome gives insights into a uniquely healthy cereal crop. Nature, 1-7.

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L’acqua minerale secondo i professionisti della salute: nuovo dossier Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest/lacqua-minerale-secondo-i-professionisti-della-salute-nuovo-dossier-nutrimi/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/lacqua-minerale-secondo-i-professionisti-della-salute-nuovo-dossier-nutrimi/#respond Wed, 18 May 2022 07:54:34 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=76075 Acqua Lete, in collaborazione con Nutrimi, promuove il nuovo dossier sul valore dell’acqua che indaga i sottovalutati aspetti nutrizionali dell’acqua minerale.

Milano,18 maggio 2022 – Nutrimi ha condotto un’indagine multi-target nell’ambito di una campagna informativa rivolta ai professionisti della salute promossa da Acqua Lete. Oltre 500 gli esperti coinvolti per fare chiarezza sulle proprietà favorevoli alla salute delle acque minerali: in particolare, rispetto a quanto e come i minerali disciolti in esse possano incidere favorevolmente sullo stato di nutrizione e salute dell’individuo. L’acqua minerale non è solo idratazione: il 42% dei professionisti intervistati considera le acque ricche in calcio preziose alleate nella gestione di patologie quali l’osteoporosi.

Il parere degli esperti: è più importante quale o quanta acqua bere?

L’acqua è un alimento e, grazie alla concentrazione di micronutrienti ed oligoelementi disciolti in essa, è una valida, quanto sottovalutata alleata, per la salute umana. È necessario quindi imparare a conoscere le diverse tipologie di acque. E da dove partire se non dalla corretta distinzione tra acqua del rubinetto e acqua minerale?

La più consigliata sembrerebbe l’acqua minerale. In questa cornice l’indagine condotta da Nutrimi rivela che 2 professionisti su 3 consigliano l’acqua minerale soprattutto a pazienti che hanno particolari condizioni cliniche o esigenze specifiche. L’acqua minerale proviene da un giacimento profondo, protetto, incontaminato: è pura all’origine, imbottigliata alla sorgente in contenitori sicuri e riciclabili e può avere proprietà favorevoli alla salute. Diversamente, l’acqua di rubinetto può provenire da falde superficiali, ma anche da laghi, fiumi e perciò, è soggetta a trattamenti di potabilizzazione e disinfezione.

7 professionisti su 10 dichiarano di consigliare acque povere in sodio: pediatri e ginecologi riferiscono di consigliare acque iposodiche a tutti i loro pazienti. I professionisti, inoltre, sembrano indicare acque ricche in calcio soprattutto a quei soggetti che necessitano di un maggiore apporto di questo minerale, in particolare a chi presenta osteoporosi. Per meno di 1 pediatra su 3, tuttavia, emerge che i pazienti in fase di crescita sono un target per questo tipo di acqua.

La presenza di bicarbonati nell’acqua, invece, appare essere il “plus” più trascurato dalla maggior parte degli specialisti, sebbene circa 1 professionista su 2 dichiari di raccomandare il consumo di acque che possono favorire i processi digestivi, in particolare in pazienti che lamentano disturbi dell’apparato gastro-intestinale.

Calcio e sodio: i minerali chiave nella nutrizione e idratazione

Tra le acque alleate della salute sono particolarmente degne di attenzione quelle calciche, bicarbonate e iposodiche. A fronte dell’alimentazione degli italiani, caratterizzata da un consumo medio di sale quasi doppio rispetto a quanto raccomandato dall’OMS (circa 10 g/die contro l’indicazione limite di 5 g/die), diventa fondamentale essere consapevoli dei potenziali benefici delle diverse tipologie di acqua.

Quando si parla di acqua e dei minerali in essa disciolti, tra quelli di maggior interesse dal punto di vista nutrizionale ci sono il calcio e il sodio: il primo da assumere in elevate quantità all’interno della dieta, l’altro da limitare per ridurre i rischi per la salute cardiovascolare.

A proposito di calcio, la gravidanza e l’età avanzata (in menopausa e più in generale età superiore a 60 anni) si caratterizzano per un aumentato fabbisogno (+200 mg al giorno) (1). Inoltre, le donne dovrebbero assumere da 700 a 1200 mg di calcio al giorno per ridurre il rischio di fratture. Di recente, è aumentato anche l’interesse verso il ruolo del calcio nelle malattie cronico-degenerative e, secondo alcuni studi, un suo intake adeguato si associa a una riduzione della pressione arteriosa negli ipertesi (3).

Falsi miti sulle acque ricche di calcio

A proposito delle acque ricche in calcio, è diffusa la convinzione che queste favoriscano la formazione di calcoli renali. In realtà, le persone che sono predisposte allo sviluppo di questa condizione, dovrebbero bere abbondantemente e frequentemente nel corso della giornata, senza temere che il calcio contenuto nell’acqua possa favorire la formazione di calcoli: anzi, le acque ricche in calcio possono costituire addirittura un fattore preventivo (1).

Inoltre, continua l’errata convinzione che il calcio presente nell’acqua non sia facilmente assorbito dall’organismo ma, in realtà, sono diversi gli studi che confermano come il nostro intestino sia in grado di assorbire il calcio presente nell’acqua, al pari se non più, rispetto a quello contenuto in latte e prodotti lattiero-caseari (3,4), con l’indubbio vantaggio che l’acqua minerale è priva di grassi e calorie e indicata per i soggetti intollerati al lattosio e i vegani.

Scarica il Dossier Nutrimi completo qui

1. Società Italiana di Nutrizione Umana (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana–IV Revisione. SICS Editore.
2. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).
3. Uusi-Rasi, K., Kärkkäinen, M. U., & Lamberg-Allardt, C. J. (2013). Calcium intake in health maintenance–a systematic review. Food & nutrition research, 57(1), 21082.

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Tritordeum: un cereale per la Sindrome dell’Intestino Irritabile https://testing.sprim.it/~nutrimitest/tritordeum-un-cereale-per-la-sindrome-dellintestino-irritabile-ibs/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/tritordeum-un-cereale-per-la-sindrome-dellintestino-irritabile-ibs/#respond Wed, 06 Apr 2022 16:09:56 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=70526 Alle persone affette da Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) viene generalmente consigliata una dieta povera di cereali poiché alcuni dei componenti che li costituiscono, quali glutine e fruttani, sembrano capaci di aggravare la sintomatologia. Tuttavia, secondo un recente studio pilota pubblicato su frontiers in Nutrition, esiste un cereale, il Tritordeum, addirittura in grado di migliorare la barriera gastrointestinale e ridurre i sintomi dei pazienti con IBS (1).

Tritordeum: che cos’è?

Il Tritordeum è un cereale di origine spagnola derivato dall’ibridazione di grano duro e orzo selvatico. Coltivato da anni in Spagna e Portogallo, recentemente, viene prodotto anche in Puglia.
Dal punto di vista agronomico è un cereale che necessita di poche cure in quanto resistente a siccità, calore e malattie. Sotto il profilo nutrizionale, invece, ha una composizione proteica del glutine diversa da quella del grano classico, con livelli significativamente più bassi di gliadine, meno carboidrati e fruttani, e un più alto contenuto di proteine, fibre alimentari e antiossidanti. Per queste caratteristiche, seppur non adatto a pazienti affetti da malattia celiaca in quanto comunque contenente glutine, sembra un valido alleato per la produzione di alimenti per pazienti che presentano sensibilità al grano non celiaca (NCWS) e per quelli con IBS-D o IBS-M, due forme differenti di Sindrome dell’Intestino Irritabile (1).

Sindrome dell’intestino irritabile: che cos’è e come viene classificata?

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS, Irritable Bowel Syndrome) è una patologia funzionale caratterizzata da dolore addominale associato a una notevole varietà di sintomi, ma senza uno specifico marker biologico. In base ai criteri diagnostici attualmente in uso (i Criteri di Roma IV), l’IBS è definita come “dolore addominale ricorrente per almeno 1 giorno a settimana, manifestatosi negli ultimi tre mesi, associato ad almeno due dei seguenti sintomi che, a loro volta, devono durare da almeno 6 mesi”:
– dolore correlato alla defecazione;
– dolore correlato a un’alterazione della frequenza dell’alvo;
– dolore correlato a un’alterazione della consistenza delle feci.
L’IBS viene inoltre classificata in tre sottocategorie sulla base di ciò che espone il paziente nel rispetto di una scala di valutazione standardizzata chiamata Bristol Stool Scale:
– IBS con alvo prevalentemente diarroico (IBS-D);
– IBS con alvo prevalentemente stitico (IBS-C);
– IBS con alvo alterno (IBS-M) (2).

La dieta dei pazienti con IBS: perché optare per il Tritordeum? 

In generale, la Dieta Mediterranea sembra essere un approccio dietetico che nel lungo termine mostra vantaggi nella gestione di malattie intestinali come l’IBD (in particolare in remissione) (3).
Tuttavia, è stato osservato che il microbiota dei pazienti con IBD è molto diverso da quello degli individui sani e questo potrebbe influenzare la digestione e il metabolismo di alcuni alimenti.
Tra questi, svettano soprattutto gli alimenti contenenti FODMAPs (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili), come grano e legumi e, più in generale i cereali. I primi sembrano infatti contribuire a sintomi digestivi quali dolore addominale, gonfiore e diarrea; questo poiché l’intestino tenue non è in grado di assorbirli correttamente arrivando fino al colon dove i batteri li digeriscono rilasciando così gas nell’intestino. I cereali invece, sembrano avere un ruolo patologico nell’IBS per il loro contenuto in glutine, potenzialmente in grado di alterare la funzione della barriera intestinale (soprattutto nei pazienti con IBS-D).
Per rispettare il modello della Dieta Mediterranea riducendo la potenziale sintomatologia da IBS, dunque, una valida strategia, oltre a optare per una dieta a basso contenuto di FODMAPs (4), sembra essere quella di sostituire i cereali assunti con la dieta con la varietà di grano Tritordeum.
A conferma di ciò, nello studio pilota (1), a un gruppo di partecipanti tra i 18 e i 65 anni (gruppo sperimentale) con diagnosi di IBS-D, sono stati somministrati per 3 mesi alimenti a base di Tritordeum, (pane, prodotti da forno e pasta) invece dei corrispondenti prodotti a base di grano, valutando all’inizio e alla fine dello studio sia i sintomi gastrointestinali, sia lo stato della barriera gastrointestinale tramite marcatori urinari e circolanti. Alla fine dello studio è stato possibile osservare una riduzione significativa della percentuale lipidica, contro un significativo aumento di quella proteica e glucidica. In termini di percezione dei sintomi invece, i partecipanti allo studio rispondendo al questionario standardizzato hanno riportato una riduzione: nella “Frequenza del dolore addominale” (44,9%), nella “Distensione addominale” (45,1%) e nell’”Interferenza sulla vita in generale (44,9%).
Questo studio pilota, dunque, dimostra come il Tritordeum possa essere una valida opzione per l’alimentazione dei pazienti con IBS che manifestano sintomi dovuti all’ingestione di grano e cereali tradizionali. In questo contesto, l’uso dietetico di alimenti a base di Tritordeum potrebbe essere un approccio promettente per migliorare e sostenere la funzione e l’integrità della barriera epiteliale. Tuttavia, trattandosi di uno studio pilota, la coorte di pazienti non risulta sufficientemente significativa per trarre conclusioni definitive e, pertanto, risulta comunque necessario proseguire con la ricerca al fine di indagare gli aspetti ancora non rivelati che collegano il consumo di grano e il profilo dell’IBS.

1. Russo, F., Riezzo, G., Linsalata, M., Orlando, A., Tutino, V., Prospero, L., … & Giannelli, G. (2022). Managing Symptom Profile of IBS-D Patients With Tritordeum-Based Foods: Results From a Pilot Study. Frontiers in Nutrition, 9.
2. Corazziari, E. S., & Gasbarrini, A. (2018). Sindrome dell’intestino irritabile. SCHEDE PRATICHE SULL’ALIMENTAZIONE NELLE MALATTIE DIGESTIVE, 25.
3. Corsello, A., Pugliese, D., Gasbarrini, A., & Armuzzi, A. (2020). Diet and Nutrients in Gastrointestinal Chronic Diseases. Nutrients, 12(9), 2693.
4. Orlando, A., Tutino, V., Notarnicola, M., Riezzo, G., Linsalata, M., Clemente, C., … & Russo, F. (2020). Improved symptom profiles and minimal inflammation in IBS-D patients undergoing a long-term low-FODMAP diet: A lipidomic perspective. Nutrients, 12(6), 1652.

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Sicurezza alimentare e alimenti del futuro: un nuovo rapporto FAO https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sicurezza-alimentare-e-alimenti-del-futuro-un-nuovo-rapporto-fao-sostenibilita/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sicurezza-alimentare-e-alimenti-del-futuro-un-nuovo-rapporto-fao-sostenibilita/#respond Fri, 01 Apr 2022 16:12:00 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=69787 Un nuovo rapporto FAO intitolato “Thinking about the future of food safety – A foresight report” cerca di identificare, valutare e classificare i nuovi trend e i fattori che guideranno i cambiamenti futuri delle filiere agroalimentari. Questi cambiamenti, in particolare, vengono considerati dal punto di vista della sicurezza alimentare, un parametro necessario per garantire sistemi alimentari al passo con un mondo in evoluzione e sempre più attento a temi quali salute e ambiente.

Sicurezza alimentare: che cos’è?

Con una popolazione globale destinata a raggiungere i 9,7 miliardi entro il 2050, è sempre più importante parlare di sicurezza alimentare. Questo termine racchiude in sé due concetti distinti e complementari: il primo è quello di “food security”, ovvero di accesso fisico, sociale, ed economico per tutti ad alimenti sicuri e nutrienti; il secondo, invece, è food safety, che rappresenta il rispetto della qualità igienica degli alimenti in termini di parametri fisici, chimici e microbiologici.

Sicurezza alimentare: quali aree prioritarie di valutazione per la FAO?

Il rapporto presenta anzitutto l’impatto che ha avuto il cambiamento climatico in termini di capacità produttive dei sistemi agroalimentari e, come questi ultimi, si sono dovuti e si dovranno adattare per essere resilienti.
Vengono considerati fattori da non sottovalutare i nuovi comportamenti dei consumatori (sempre più attenti alle tematiche della salute) così come l’impatto delle loro richieste, che potrebbero essere accompagnate da potenziali e inesplorati rischi in termini di sicurezza alimentare. Infine, vengono esposte delle brevi descrizioni sugli alimenti emergenti, sull’attuale conoscenza in termini di sicurezza alimentare che deriva dal loro consumo, e sulle nuove tecnologie che si stanno sviluppando per garantire produzioni sufficienti sia quantitativamente che qualitativamente.
La parola “nuovo” viene usata nel rapporto per descrivere tecniche e materiali scoperti di recente, così anche per alimenti storicamente consumati in specifiche regioni del mondo, ora presenti nei mercati globali (come, ad esempio, gli insetti).

Nuovi alimenti, tecnologie e sicurezza alimentare

Una delle prime produzioni discusse in termini di sicurezza è l’allevamento di insetti commestibili, sia per il consumo umano che per l’alimentazione animale, il quale ha guadagnato un notevole interesse a livello globale grazie a potenziali benefici in termini nutrizionali, ambientali ed economici. Ugualmente viene posta attenzione alla produzione di alghe (o macroalghe) e alle meduse come fonti alimentari ad alto contenuto proteico. Questi “alimenti del futuro” necessitano una valutazione approfondita dei rischi per la sicurezza alimentare così da stabilire processi di produzione igienici e quadri normativi ad hoc. Tra gli alimenti analizzati emergono anche le alternative vegetali ai prodotti di origine animale (carne, latticini, uova e frutti di mare) per cui la sicurezza a lungo termine sulla salute è ancora tema di discussione.

Per quel che riguarda l’aspetto più “tecnologico” delle produzioni emergono in particolare le biotecnologie con la produzione di alimenti a partire da substrati cellulari; per quello più “ecologico”, invece, le coltivazioni all’interno dei centri urbanizzati come le fattorie urbane di varia scala, le fattorie comunitarie e l’agricoltura verticale al chiuso (sistemi idroponici, acquaponici o aeroponici). La coltivazione nelle città mostra vantaggi in termini di food security tanto quanto necessita ancora di approfondimenti in termini di food safety, al fine di stabilire quadri normativi appropriati specifici.
Attenzione, infine, anche ai progressi nelle nanotecnologie per lo sviluppo di imballaggi innovativi, ai nuovi metodi per la produzione di alimenti (come la stampa 3D), all’automazione dei processi, all’uso dei Big Data e alla Blockchain. Aree strategiche che hanno il potenziale per migliorare la gestione della sicurezza alimentare nel panorama mutevole dei sistemi agroalimentari, ma possono anche sollevare preoccupazioni riguardo all’adozione di un accesso equo alle risorse e alla privacy dei dati.

Il modo in cui i sistemi agroalimentari si evolveranno o si trasformeranno nei prossimi decenni, avranno profonde implicazioni globali per la nostra salute. La consapevolezza globale, le capacità e le abilità di gestire la sicurezza alimentare devono rimanere in sintonia con questa progressione, così da garantire un’alimentazione adeguata alla crescente popolazione mondiale.

1. FAO. (2022). Thinking about the future of food safety – A foresight report. Rome. https://doi.org/10.4060/cb8667en

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Mocktail: un food trend alleato della salute? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/mocktail-un-food-trend-alleato-della-salute/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/mocktail-un-food-trend-alleato-della-salute/#respond Fri, 18 Mar 2022 17:12:40 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=68313 Con l’anno 2022 e il progressivo ritorno alla quotidianità “post-lockdown” sono emerse nuove esigenze da parte dei consumatori, ora sempre più attenti alla salute e consci di quanto una sana alimentazione sia un importante fattore di prevenzione per il mantenimento della salute nel lungo periodo.
Tra i trend più interessanti è emerso soprattutto quello dei mocktail i quali si mostrano, da un lato alleati, dall’altro potenziali “antagonisti” nel raggiungimento della salute pubblica. Ma di che cosa si tratta esattamente e perché hanno sia pro che contro?

Mocktail: cosa sono?

I mocktail sono bevande analcoliche che cercano di imitare nel gusto i corrispettivi cocktail. Il loro nome si basa sul gioco di parole tra “cocktail” e “mock”, che in inglese significa “finto”. Ad eccezione per l’alcol, i mocktail contengono gli stessi ingredienti analcolici della controparte alcolica e, così come i drink convenzionali, molti sono strutturati a partire da diverse combinazioni di succhi di frutta, sode, sciroppi aromatizzati, tè freddi, acqua frizzante e particolari botaniche (1).

Questo trend è destinato a crescere, considerato che il consumo di mocktail non è né sconsigliato a determinate fasce di popolazione (diversamente dagli alcolici che sono sconsigliati a donne in gravidanza e bambini), né presenta “limiti di orario” (i cocktail sono convenzionalmente associati all’orario dell’aperitivo mentre i mocktail, essendo analcolici, possono essere consumati durante tutta la giornata).

Il pro dei mocktail

Tra i vantaggi principali in termini di salute sul consumo di mocktail vi è sicuramente, come anticipato e implicito anche nel nome, quello di limitare l’assunzione di alcol.
Il consumo di quest’ultimo, infatti, è ancora uno dei principali problemi di salute pubblica sia a livello nazionale che internazionale e diverse Organizzazioni, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità, stanno implementando da anni piani per contrastarne il consumo eccessivo (2).
L’alcol ha un impatto causale per più di 200 condizioni (7 tipi di cancro, lesioni, malattie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche, ecc.) e, nella sola Regione Europea dell’OMS, provoca circa un milione di morti ogni anno, pari a circa 2.500 decessi quotidiani. È anche una delle principali cause di perdita di produttività e dell’aumento dei costi sanitari e sociali (3).
Se i mocktail dovessero spopolare, ecco che tra i vantaggi tangibili vi sarebbero sicuramente quello di contrastare l’eccessivo consumo di alcol, creare un clima di convivialità e inclusivo intorno al momento del loro consumo e limitare le spese in termini di salute pubblica.

Il contro dei mocktail

Come ricordato precedentemente, alla base dei mocktail vi sono gli stessi ingredienti che vengono abitualmente utilizzati nei tradizionali cocktail. Tuttavia, succhi di frutta, sode, sciroppi aromatizzati e/o tè freddi rientrano tra le bevande zuccherate, prodotti rilevanti quanto si tratta di salute pubblica in quanto principale fonte di zuccheri liberi.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’apporto di zuccheri liberi con la dieta non dovrebbe superare il 10% delle calorie giornaliere totali, preferibilmente il 5%. In altre parole, in media, il consumo di zuccheri liberi non dovrebbe superare i 50 g per le donne e 70 g per gli uomini al giorno, in base ai diversi fabbisogni (4).
Il consumo eccessivo di zuccheri, infatti, è legato a un aumento dell’incidenza di malattie non trasmissibili come il diabete, le malattie cardiovascolari e il cancro, contribuendo a 35 milioni di morti all’anno. L’assunzione eccessiva di zuccheri liberi, inoltre, può causare molti degli stessi problemi di salute del consumo eccessivo di alcol (5), pertanto se da un lato i mocktail riducono il consumo di alcol, dall’altro potrebbero partecipare all’aumento di quello di zuccheri, non limitando i problemi attuali.

Per scongiurare questa possibilità, tuttavia, è possibile optare per mocktail più attenti anche dal punto di vista dell’apporto glucidico, i cosiddetti healthy mocktail, che potrebbero essere la vera frontiera per coniugare il piacere di un cocktail in compagnia senza ripercussioni negative in termini di salute.

1. Kolin, P. C. (1983). Mocktails, Anyone? American Speech, 58(2), 190-191. https://doi.org/10.2307/455331
2. World Health Organization. (2022). Reducing the harm from alcohol by regulating cross-border alcohol marketing, advertising and promotion: summary (No. WHO/MSD/UCN/ADA/22.01). World Health Organization.
3. Scafato, E., Gandin, C., Ghirini, S., & Matone, A. (2021). Il Programma nazionale Guadagnare Salute e il contrasto all’abuso di alcol. Bollettino epidemiologico nazionale.
4. World Health Organization. (2015). Guideline: sugars intake for adults and children. World Health Organization.
5. Arnone, D., Chabot, C., Heba, A. C., Kökten, T., Caron, B., Hansmannel, F., … & Peyrin-Biroulet, L. (2021). Sugars and Gastrointestinal Health. Clinical Gastroenterology and Hepatology.

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Uno sguardo ai food trend 2022: sostenibilità e salute al centro https://testing.sprim.it/~nutrimitest/uno-sguardo-ai-food-trend-2022-sostenibilita-e-salute-al-centro-foraging/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/uno-sguardo-ai-food-trend-2022-sostenibilita-e-salute-al-centro-foraging/#respond Fri, 11 Feb 2022 17:43:19 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=65091 Se l’anno scorso anche per il settore alimentare è stato un anno di assestamento alle nuove condizioni sociali imposte dalle restrizioni per limitare la diffusione del virus, quest’anno, il focus per consumatori e produttori sembra essere un altro, ovvero quello di contribuire con l’alimentazione a supportare il proprio benessere, con un occhio di riguardo anche verso il pianeta. Alimenti funzionali, prodotti con valore aggiunto e salute sono le parole chiave delle tavole 2022! Quali sono dunque i food trends nel “radar “di Nutrimi?

Foraging o fitoalimurgia

Con il foraging, o fitoalimurgia, ci si riferisce a quella branca della scienza che si occupa di indagare quanto e se le piante selvatiche (foglie, fusti, germogli, fiori, radici, tuberi, bulbi e bacche) siano commestibili e/o potenzialmente dotate di proprietà fitoterapiche (1). Potrebbe essere definito più semplicemente come “l’andar per boschi” come pratica di alimentazione sostenibile, prendendo dalla terra ciò che la terra spontaneamente offre (in Italia, ad esempio, possiamo trovare la cicoria, la carota selvatica, ma anche il tarassaco, l’ortica e la borragine).
La pratica del foraging oltreoceano sta ottenendo un ruolo non marginale anche nell’industria alimentare grazie a varietà botaniche quali moringa e curcuma. La moringa, pianta appartenente alla famiglia delle Moringaceae e usata dagli antichi egizi sia come alimento che per la produzione di oli cosmetici, grazie ai valori nutrizionali contenuti in foglie e semi, è un ingrediente importante per molte tradizioni gastronomiche orientali ed oggi uno dei candidati a diventare “superfood” 2022.

Autoproduzione e produzione sostenibile

A fronte dell’impatto positivo che negli anni hanno avuto i diversi progetti di rigenerazione ambientale legati all’agricoltura urbana, periurbana e metropolitana (2) e tipici delle Food Policy, nel 2022 questo paradigma di coltivazione diventa tendenza. Si stima infatti un incremento delle pratiche di agricoltura e orticoltura urbana , caratterizzate dalla disponibilità dipiante ed erbe sempre fresche sottoposte a regime colturale in idroponica o acquaponica, ortaggi coltivati in serra utilizzando esclusivamente energie rinnovabili nonché produzioni agricole 4.0 che sfruttano le tecnologie per produrre alimenti sani e sostenibili.
Fuori dai centri urbani, invece, si assiste ad un incremento delle pratiche di agricoltura rigenerativa e di approcci agroecologici alle produzioni alimentari. Le prime sono correnti agricole affini alla permacultura (o conservazione consapevole ed etica degli ecosistemi produttivi) e il loro scopo principale è rigenerare la qualità del suolo ad ogni ciclo produttivo mimando i processi naturali di formazione dell’humus (sfruttando tecniche come, ad esempio, l’avvicendamento colturale in opposizione al sistema delle monoculture tipico dell’agricoltura intensiva e depauperante). Rispetto al secondo termine invece, con il 2022 si assiste ad un’enfatizzazione della componente più sociale dell’agroecologia, ricercando sempre più prodotti che arrivano da pratiche di agricoltura familiare e/o prodotti che consentano un riallacciamento dei rapporti città-campagna (3).  

“Bevande della salute” e reducitarianesimo

La pandemia ha portato ad un rinnovato interesse per il benessere in generale e, in risposta a questa richiesta, imprese e attività si sono attivate proponendo nuovi prodotti salutari sul mercato. Tra questi, svettano soprattutto bibite funzionali come tonici frizzanti con prebiotici, bevande con claim salutistici e cocktail da aperitivo alcol-free, realizzati con set di particolari botaniche e cortecce dalle proprietà fitoterapiche. Ad accompagnare il beverage anche un regime alimentare principalmente basato sulla ricerca di alta qualità e salute. La dieta più di tendenza del 2022 sembra sarà infatti quella reducetariana (che prevede la riduzione nel consumo di alimenti di origine animale e la scelta di consumarli, quando consumarli, solo se di buona qualità e derivanti da una produzione sostenibile ed etica).

Funghi

Questo trend unisce i concetti dei trend precedenti: sostenibilità, foraging e salute umana. Fin dall’antichità i funghi sono considerati “elisir di lunga vita”, in quanto fonti di aminoacidi essenziali e polisaccaridi, prontamente disponibili e offerti dal suolo in condizioni di umidità, con un alto livello di rendimento necessario a sfamare una popolazione sempre crescente. Oggi i funghi e i loro sottoprodotti vengono considerati una delle tendenze più innovative per garantire prodotti fortificati, mangimi, o anche semplici alimenti sani e salutari al più della popolazione, attestandosi tanto come trend quando come strategia vincente nel campo della nutrizione e dell’alimentazione umana e animale (4).

1. Paura, B., Di Marzio, P., Salerno, G., Brugiapaglia, E., & Bufano, A. (2021). Design a database of Italian vascular alimurgic flora (AlimurgITA): Preliminary results. Plants, 10(4), 743.
2. Langemeyer, J., Madrid-Lopez, C., Beltran, A. M., & Mendez, G. V. (2021). Urban agriculture—A necessary pathway towards urban resilience and global sustainability?. Landscape and Urban Planning, 210, 104055.
3. Giacomelli, M., & Calcagni, F. (2022). Borgofuturo+: un progetto locale per le aree interne. Borgofuturo+, 1-219..
4. Kumar, H., Bhardwaj, K., Kuča, K., Sahrifi‐Rad, J., Verma, R., Machado, M., … & Cruz‐Martins, N. Edible mushrooms enrichment in food and feed: A mini review. International Journal of Food Science & Technology.

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Spreco alimentare domestico in Italia: con la pandemia risalito del 15% https://testing.sprim.it/~nutrimitest/spreco-alimentare-domestico-in-italia-con-la-pandemia-risalito-del-15-nutrimi/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/spreco-alimentare-domestico-in-italia-con-la-pandemia-risalito-del-15-nutrimi/#respond Wed, 09 Feb 2022 16:42:30 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=64902 Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Waste Watcher International su iniziativa della campagna Spreco Zero di Last Minute Market e dell’Università di Bologna, in Italia, dopo il trend positivo registratosi nel 2019, sembra che la pandemia abbia contribuito a una riduzione dell’attenzione collettiva sul tema degli sprechi alimentari. Questi ultimi, tuttavia, restano ancora un grande problema ambientale, sociale ed economico nonché fulcro delle strategie politiche adottate dall’Unione Europea per combattere il cambiamento climatico (dall’Agenda 2030 con l’SDG 12.3 fino alla più recente strategia Farm to Fork), pertanto, conoscere i limiti e il contesto nazionale può essere un valido modo per capire dove e come intervenire così raggiungere gli obiettivi prefissati.

Il caso Italia 2022

Partendo da un confronto tra quanto registrato nel rapporto 2021 (riferito al 2020) e nel rapporto 2022 (riferito al 2021) emerge chiaramente come lo spreco settimanale procapite sia aumentato di ben 66,3 grammi, passando da 529 g a 595,3 g pro capite settimanali, per un totale di 30.956 kg l’anno di alimenti sprecati, circa il 15% in più rispetto l’anno precedente. Un dato ancor più preoccupante se lo si espande a livello nazionale e si considera lo spreco domestico annuo italiano nella sua interezza, il cui valore si attesta a circa 1.900.000 tonnellate. Questo fenomeno, in generale, si inasprisce nei nuclei famigliari senza figli (+12%), nei ceti Medio-Basso (+12%), nei ceti Popolari (+7%) e nei piccoli centri urbani sotto 100mila abitanti (+7%), mentre le grandi città sembrano sprecare ben il 12% in meno rispetto alla media nazionale. La distribuzione territoriale degli sprechi vede comportamenti “più virtuosi” al Centro-Nord Italia, mentre al Sud i dati sono meno incoraggianti, tant’è che si spreca il 18% in più del valore della media nazionale. 

Quali alimenti si sprecano di più e perché?

Le categorie di alimenti che finiscono maggiormente tra i rifiuti restano pressoché invariate rispetto al rapporto dell’anno precedente. Nella “top five” degli sprechi settimanali, infatti, si registrano frutta fresca (25,5 gr), insalate (21,4 g), pane fresco (20 g), verdure (19,5 g), Liliacee e tuberi (18,7 g), tutti alimenti altamente deperibili e di ridotta shelf life che in parte “giustificano” la ricorrenza dello spreco.Per approfondire le motivazioni del perché si spreca, è stato chiesto alle famiglie tramite questionario di dare una spiegazione e, da questo, è conseguita come motivazione principale la dimenticanza.
Il 47% delle famiglie, infatti, pensa di sprecare perché si dimentica di aver acquistato prodotti deperibili, il 46% ritiene che la colpa sia attribuibile all’interruzione della catena del freddo tra acquisto e conservazione domestica, il 35% che gli alimenti comprati siano già vecchi, il 33% spreca perché acquista in eccesso per paura di non avere abbastanza e il 30% dichiara di commettere errori nella pianificazione della spesa. A queste motivazioni sono state affiancate anche le motivazioni del perché gli esterni al proprio nucleo famigliare sprecano, evidenziando un paradosso. Se infatti si osservano le risposte a questo secondo interrogativo si può notare come le motivazioni precedentemente esposte vengano ribaltate. Le altre famiglie sprecano perché “acquistano troppo”, “si dimenticano”, “non apprezzano gli avanzi”, “non sono capaci di conservare”. Al contrario, come sopra riportato, le motivazioni del proprio spreco sono riconducibili in primis a problematiche esterne, come “i prodotti sono troppo facilmente deperibili”, “gli alimenti venduti sono già vecchi”, etc.
Questi dati evidenziano che tra i problemi ancora persistenti vi è sicuramente la tendenza ad “autoassolversi”, limitando la possibilità di uno sviluppo reale di buone pratiche soggettive.
In considerazione di ciò, tra gli obiettivi da perseguire a livello individuale, ma soprattutto collettivo ed istituzionale, risulta importante continuare ad investire tempo e risorse in nuove proposte che mettano al centro programmi di educazione alimentare ed ambientale e consentano di sviluppare una cultura del cibo in linea con le nuove necessità.

1. Spreco Zero (2022), Conferenza per la 9^ Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco Alimentare One health, one earth. https://www.youtube.com/watch?v=kXt6U0nUSpo&t=604s

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“Frutti del caso”: come sono nati alcuni degli alimenti più consumati al mondo? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/frutti-del-caso-come-sono-nati-alcuni-degli-alimenti-piu-consumati-al-mondo-nutrimi/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/frutti-del-caso-come-sono-nati-alcuni-degli-alimenti-piu-consumati-al-mondo-nutrimi/#respond Mon, 07 Feb 2022 09:30:29 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=64769 Sebbene ormai la loro presenza sulle nostre tavole sia “scontata”, tantissimi prodotti alimentari oggi disponibili sono in realtà il risultato di errori o fortunate coincidenze, grazie alle quali è stata riscritta la storia dell’alimentazione moderna.

Cosa sono le Commodieties?

Il termine Commodity è una locuzione anglosassone e tipica del linguaggio economico che descrive una materia prima, o un prodotto derivato, fruibile facilmente sul mercato che sia anche semplice da stoccare e conservare nel tempo. Deriva dal francese commodité, con il significato di ottenibile comodamente.
Tra le principali commodities alimentari odierne troviamo cereali e prodotti a base di cereali (come preparati dolci, prodotti per la prima infanzia, cereali da colazione), radici e tuberi (patate), colture zuccherine e dolcificanti (canna da zucchero e miele), legumi, frutta a guscio, semi oleaginosi e, a seguire, anche altre tra le principali produzioni agricole mondiali (inclusi i prodotti dell’allevamento) (1).

Le Commodities nate dal caso

Alcune di quelle che oggi definiamo Commodieties, sono nate in maniera casuale e inaspettata. Tra queste vale la pena ricordare i cornflakes, il grano arso pugliese, molti dei vini e dei formaggi italiani e diverse varietà di frutta e verdura (le quali tuttavia non verranno argomentate poiché originate spesso non a caso e con volontà di ibridazione per ottenere nuove cultivar più produttive, pertanto difficili da definire “inaspettate” se non per pochi casi come, ad esempio, la mela Ambrosia).

La nascita dei cornflakes

Correva l’anno 1894 e il medico quarantaduenne John Harvey Kellogg stava cercando di creare, presso il suo sanatorio a Battle Creek (Michigan), una nuova ricetta salutare in linea con la sua filosofia alimentare, secondo cui il più delle malattie manifestate dai suoi pazienti fosse dipendente da un’alimentazione incentrata sul consumo di carne anziché a base vegetale (2). Per caso, nella preparazione di un pane facilmente digeribile a base di grano, il dottor Kellogg si distrasse lasciando il composto ottenuto a indurire per tutta la notte. La mattina seguente, non volendo gettare quanto preparato, ebbe l’idea di creare una sfoglia, riscaldarla in forno e tagliarla in piccoli pezzi: così nacquero i Granose, la prima versione di cereali da colazione antenati dei cornflakes. Dopo il successo di questa scoperta, decise di sviluppare il prodotto a livello industriale con l’aiuto di suo fratello minore, l’imprenditore Will Keith Kellogg, sostituendo il grano con il mais e dando il via alla produzione dei più famosi cornflakes (3). 

La ripresa del grano arso pugliese

Il grano arso nasce da una fortunata coincidenza verificatasi nel “Granaio d’Italia”, la Puglia. Un tempo, infatti, i latifondisti consentivano agli agricoltori di raccogliere ad uso personale solo il cosiddetto grène jàrse, ovvero i chicchi di grano duro rimasti a terra a seguito della mietitura e della bruciatura delle stoppe. Dopo diversi anni, questo antico sistema di sussistenza è stato riscoperto per caso e modificato nel rispetto delle normative di sicurezza alimentare (il grano soggetto a combustione non è salutare ed è stato sostituito con una fase di tostatura per emularne le caratteristiche sensoriali), originando così uno dei prodotti più particolari del Made in Italy.

Formaggi e vini italiani nati dalle dimenticanze 

Il più noto formaggio nato per caso è sicuramente il gorgonzola. Sembra infatti che un mandriano del 900 d.C. circa, dopo essersi accorto delle muffe formatesi sul latte cagliato che aveva dimenticato per più giorni senza coperchio, per rimediare al danno, decise di coprire il tutto con altro latte cagliato sino ad ottenere quello che oggi è uno dei formaggi più apprezzati a livello mondiale. Storia affine e sempre legata all’aiuto offerto dai microorganismi come muffe e lieviti l’hanno anche il formaggio ‘mbriago e alcuni vini, tra cui l’Amarone e i vini muffati dei Castelli romani.

1. Food and Agriculture Organization of the UN (FAO) (2022). DEFINITION AND CLASSIFICATION OF COMMODITIES. Chief, Basic Data Branch, Statistics Division
2.Leitzmann, C. (2014). Vegetarian nutrition: past, present, future. The American journal of clinical nutrition, 100(suppl_1), 496S-502S.
3. Shoemaker, M. T. (2022). How Cereal Helped Shape the American Diet in the 20th Century. In The Exposition (Vol. 6, No. 1, p. 7).
4. Woodward, G. (2014). Gorgonzola to Golden Wonder. TLS. Times Literary Supplement, (5803), 26-27.

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Sancha Inchi: un’antica fonte di preziosi nutrienti https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sancha-inchi-unantica-fonte-di-preziosi-nutrienti-nutrimi/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sancha-inchi-unantica-fonte-di-preziosi-nutrienti-nutrimi/#respond Fri, 07 Jan 2022 16:31:17 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=60781 La frutta secca (noci, nocciole, mandorle) e i semi oleosi (semi di zucca, lino) sono dei validi alleati nella prevenzione delle malattie cronico-degenerative, soprattutto cardiovascolari, presumibilmente per la loro composizione nutrizionale dalla quale emerge un buon quantitativo di acidi grassi insaturi, fibra, acido folico, minerali e composti bioattivi.
Oltre ai semi più noti, tuttavia, esistono anche varietà antiche, sconosciute e davvero particolari con altrettante proprietà. È il caso della Plukenetia volubilis, o Sancha inchi, promettente coltura di semi oleosi con oltre 4000 anni.

Che cos’è la Sancha Inchi?

La Sacha inchi (Plukenetia volubilis), conosciuta anche come arachide Inca o arachide delle montagne, è una coltura di semi oleosi appartenente alla famiglia delle Euphorbiaceae, la stessa della Manioca.
È una pianta antica, probabilmente scoperta dalle civiltà Pre-Incas oltre 3000-5000 anni fa, nata in Perù e distribuita lungo il bordo occidentale e settentrionale del bacino amazzonico.
All’inizio del ventunesimo secolo, il governo peruviano l’ha dichiarata specie in pericolo e ha iniziato a sostenere progetti per la sua coltivazione sostenibile così da evitarne la scomparsa. Oggi questa coltura ricopre un ruolo non marginale nell’economia locale ed è impiegata nell’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare. Di questa pianta vengono consumati sia semi che foglie.
Gli indigeni sono soliti consumarli entrambi arrostiti, o comunque cotti, e i semi, in particolare, costituiscono un ingrediente importante per diverse preparazioni tradizionali come l’inchicapi, e i tamales. Globalmente invece l’uso dei semi è noto per l’estrazione di un olio dalle proprietà sensoriali elevate, premiato a Parigi per 3 anni consecutivi dall’Agence pour la Valorisation des Produits Agricoles (AVPA). Oltre alle proprietà sensoriali quest’olio ha attirato negli anni l’interesse dei ricercatori delle industrie alimentari e degli esperti della nutrizione soprattutto per la quantità di acido alfa linolenico e il rapporto ben bilanciato che presenta tra gli acidi grassi ω-3: ω-6 (~1,41:1) (1).

Proprietà nutrizionali della Sancha Inchi

I semi di Sancha Inchi presentano una composizione nutrizionale caratterizzata dal 33,4-54,7% di grassi, il 24,2-33,3% di proteine, il 6,6-30,9% di carboidrati, il 6,6-11,3% di fibre e il 2,7-6,5% di ceneri (2).
I semi crudi presentano fitotossine e per tanto non sono commestibili; se cotti invece sono un’ottima fonte di acidi grassi polinsaturi (PUFA) e proteine di buona qualità. Confrontando i valori nutrizionali dei semi di Sancha Inchi con i semi oleosi più noti, come lino e chia, è possibile evidenziare come i primi presentino un contenuto di grassi totali e proteine superiore di circa il 15%. Rispetto a colza e soia, invece, presentano un contenuto superiore di grassi (33,4-54,7%) (3).
Il minerale più abbondante è il potassio (K= 775 mg/ 100 g di semi intero) seguito da fosforo (P= 580 mg/100 g), magnesio (Mg =321–344 mg/100 g), calcio (Ca = 126–297 mg/100 g), ferro (Fe = 4–10mg/100 g) e zinco (Zn = 4–5 mg/100 g).
Infine, l’olio che si estrae dai semi di Sancha Inchi, come anticipato, è composto per circa l’80% da acidi grassi polinsaturi (equivalente più o meno all’olio di lino o di chia) e dal 9% di acidi grassi monoinsaturi (MUFA), tuttavia sono presenti ancora perplessità sul suo consumo ad alte temperature in quanto particolarmente soggetto ad ossidazione. Pertanto, affinché questo seme possa ottenere il suo spazio meritato nel mondo della nutrizione, sono necessarie ulteriori ricerche così da determinarne condizioni di produzione ottimali, sicurezza e applicazioni alimentari possibili.

1. Goyal, A., Tanwar, B., Sihag, M. K., & Sharma, V. (2022). Sacha inchi (Plukenetia volubilis L.): An emerging source of nutrients, omega-3 fatty acid and phytochemicals. Food Chemistry, 373, 131459.
2. Bueno-Borges, L. B., Sartim, M. A., Gil, C. C., Sampaio, S. V., Rodrigues, P. H. V., & Regitano-d’Arce, M. A. B. (2018). Sacha inchi seeds from sub-tropical cultivation: effects of roasting on antinutrients, antioxidant capacity and oxidative stability. Journal of food science and technology, 55(10), 4159-4166.
3. Tanwar, B., & Goyal, A. (Eds.). (2021). Oilseeds: Health Attributes and Food Applications. Springer.

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