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Prevenzione e salute – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest La nutrizione in pratica Mon, 11 Jul 2022 16:08:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.4 https://testing.sprim.it/~nutrimitest/wp-content/uploads/2019/09/favicon-2.png Prevenzione e salute – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest 32 32 Una dieta ricca di grassi potrebbe deteriorare le capacità cognitive https://testing.sprim.it/~nutrimitest/una-dieta-ricca-di-grassi-potrebbe-deteriorare-le-capacita-cognitive/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/una-dieta-ricca-di-grassi-potrebbe-deteriorare-le-capacita-cognitive/#respond Mon, 11 Jul 2022 16:08:06 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=82163 Sembra che seguire una dieta ad alto contenuto di grassi porti nel tempo a un deterioramento delle capacità cognitive, tra cui la possibilità di sviluppare ansia, depressione e un peggioramento della malattia di Alzheimer. È quanto emerge in uno studio internazionale su modello murino, guidato dai ricercatori dell’Università dell’Australia del Sud (UniSA) in collaborazione con i colleghi cinesi e recentemente pubblicato su Metabolic Brain Disease (1).

Con l’invecchiamento della popolazione mondiale, si prevede che gli adulti affetti da demenza raggiungeranno circa 150 milioni entro il 2050, di cui il 60-80% affetti da malattia di Alzheimer (AD).
L’AD è caratterizzata da un progressivo declino della memoria e di altre funzioni cognitive associato alla perdita di neuroni, con conseguente demenza. La maggior parte dei pazienti affetti da AD si presenta in forma sporadica e ad esordio tardivo. I fattori metabolici svolgono un ruolo importante nell’insorgenza e nello sviluppo dell’AD. È infatti noto come obesità cronica e diabete mellito di tipo 2 (T2DM) sono spesso associati all’AD, insieme a molte altre comorbidità, tra cui le malattie cardiovascolari e la disfunzione renale. Inoltre, l’obesità e il T2DM sono sempre più legati a un’alterata funzione del sistema nervoso centrale (SNC), esacerbando i disturbi psichiatrici e cognitivi, compresi i disturbi dell’umore e il declino cognitivo.

Cosa emerge dallo studio?

Nello studio, dei topi sono stati assegnati in modo casuale ad una dieta standard (STD) o a una dieta ricca in grassi (HFD) per 30 settimane a partire dalle 8 settimane di età. L’assunzione alimentare è stata misurata settimanalmente, il peso corporeo e i livelli di glucosio a digiuno sono stati misurati ogni due settimane e una batteria completa di test comportamentali è stata eseguita per valutare ansia, depressione e disfunzioni cognitive. I test di tolleranza al glucosio e all’insulina sono stati eseguiti dopo 30 settimane di HFD. Dai risultati è emerso che i topi con una dieta ricca di grassi non solo hanno guadagnato molto peso e hanno sviluppato insulino-resistenza ma hanno iniziato a comportarsi in modo anomalo rispetto a quelli alimentati con una dieta standard. A seguito delle analisi, infatti, è stato possibile identificare come i topi sottoposti a una HFD sviluppassero a lungo termine un comportamento depressivo e ansioso e una ridotta funzione cognitiva. I topi con funzione cognitiva compromessa avevano anche maggiori probabilità di ingrassare ulteriormente a causa del cattivo metabolismo causato dai cambiamenti cerebrali, innescando così un pericoloso circolo vizioso.

Il commento dei ricercatori

La ricerca apre la strada a nuovi risultati che collegano HFD, obesità, diabete e sintomi psichici. I ricercatori affermano come: “gli individui obesi abbiano un rischio aumentato di circa il 55% di sviluppare depressione e che il diabete sembra raddoppiare tale rischio. I risultati sottolineano l’importanza di affrontare l’epidemia di obesità globale. È molto probabile, dunque, che una combinazione di obesità, età e diabete porti a un declino delle capacità cognitive, del morbo di Alzheimer e di altri disturbi della salute mentale”, conclude Bobrovskaya (Farmacia e Scienze Mediche, Divisione di Scienze della Salute, University of South Australia, Adelaide, SA, Australia).

1. Xiong, J., Deng, I., Kelliny, S., Lin, L., Bobrovskaya, L., & Zhou, X. F. (2022). Long term high fat diet induces metabolic disorders and aggravates behavioral disorders and cognitive deficits in MAPT P301L transgenic mice. Metabolic Brain Disease, 1-17.

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Senatore Cappelli: un grano antico con proprietà nutraceutiche? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/senatore-cappelli-un-grano-antico-con-proprieta-nutraceutiche/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/senatore-cappelli-un-grano-antico-con-proprieta-nutraceutiche/#respond Fri, 08 Jul 2022 13:05:29 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=81744 Le varietà di grano italiane, e in particolare il genotipo Senatore Cappelli, sembrano caratterizzate da diverse specificità nutraceutiche che potrebbero suggerire un loro uso per scopi salutistici. È quanto emerge in un recente studio pubblicato su Nutrients da un team che ha coinvolto i ricercatori dell’Università di Pavia. La valutazione dei componenti funzionali della granella di cultivar di grano duro italiano antico e moderno, infatti, ha portato a dei risultati che evidenziano un potere antiossidante superiore nelle varietà di frumento antiche. I composti fenolici (tra cui cumarine, acidi fenolici, antociani, flavoni, isoflavoni, proantocianidine, stilbeni e lignani) e le forme isomeriche sono stati riscontrati con presenza in numero medio superiore (circa due volte più alto) nelle varietà di grano antico. Il numero più alto di isomeri, in particolare, è stato osservato proprio nella varietà di grano antico Senatore Cappelli (1).

Grano duro varietà Senatore Cappelli

La varietà Senatore Cappelli fu ottenuta nel 1930 dall’allevatore Strampelli, attraverso la selezione di Jennah Khetifa. Questa varietà di grano era diffusa nell’Italia centrale e meridionale nella prima metà del secolo scorso e ampiamente utilizzata da Strampelli nei programmi di ricerca genetica per lo sviluppo di nuove varietà con migliore tolleranza all’allettamento e idoneità alla pastificazione. La varietà di grano duro Senatore Cappelli è biologicamente caratterizzata da un numero più elevato di composti polifenolici liberi e legati e di isomeri, compresi composti unici rispetto alle varietà moderne. La macinazione a pietra del grano duro Senatore Cappelli produce una semola ricca di fibre, amido resistente, vitamine (in particolare del gruppo B), oligominerali e specifiche sostanze fitochimiche (fitoestrogeni, antiossidanti e fenoli) che potrebbero essere responsabili di una combinazione di effetti cardiovascolari favorevoli (2).

Senatore Cappelli e NGCS/NCWS: quale nesso?

Queste differenze fitochimiche potrebbero spiegare gli effetti clinici positivi osservati nei pazienti con NGCS dopo la supplementazione con pasta prodotta con grano duro Senatore Cappelli (3). Un risultato interessante riguarda la percezione del possibile ruolo del glutine. Infatti, la varietà Senatore Cappelli contiene una maggiore quantità di proteine (14-15% su base di peso secco), e quindi di glutine, rispetto alla maggior parte delle varietà moderno. Questa considerazione apre la strada al concetto che il glutine non sia specificamente responsabile della comparsa dei sintomi della NCGS, ma che più componenti del grano non contenenti glutine potrebbero causare questo disturbo. Pertanto, si enfatizza come il termine sensibilità al grano non celiaca (NCWS) sia preferibile a sensibilità al glutine non celiaca (NCGS).
Le conseguenze cliniche, psicologiche, economiche e sociali di questa scelta sono notevoli, dato il numero crescente di pazienti con NCGS/NCWS con relative difficoltà e costi a seguire una dieta senza glutine. Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi dati nei soggetti con NCGS/NCWS, ed eventualmente studi sul consumo di pasta di grano duro Senatore Cappelli in pazienti con altre patologie gastrointestinali come la sindrome dell’intestino irritabile, la disbiosi intestinale e la sovra-crescita batterica dell’intestino tenue (SIBO) (1).

  1. Giacosa A., Peroni G., Rondanelli M. (2022). Phytochemical Components and Human Health Effects of Old versus Modern Italian Wheat Varieties: The Case of Durum Wheat Senatore Cappelli. Nutrients. 2022; 14(13):2779. https://doi.org/10.3390/nu14132779
  2. Dinu, M., Whittaker, A., Pagliai, G., Benedettelli, S., & Sofi, F. (2018). Ancient wheat species and human health: Biochemical and clinical implications. The Journal of nutritional biochemistry, 52,1-9.
  3.  Asledottir, T., Rehman, R., Mamone, G., Picariello, G., Devold, T. G., Vegarud, G. E., … & Uhlen, A. K. (2020). Ancestral Wheat Types Release Fewer Celiac Disease Related T Cell Epitopes than Common Wheat upon Ex Vivo Human Gastrointestinal Digestion. Foods, 9(9), 1173.
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Western-diet, microbiota intestinale e cancro colon-retto: quale nesso? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/western-diet-microbiota-intestinale-e-cancro-colon-retto-quale-nesso/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/western-diet-microbiota-intestinale-e-cancro-colon-retto-quale-nesso/#respond Thu, 30 Jun 2022 14:19:04 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=80921 Una dieta di tipo occidentale, definita anche Western- diet, sembra essere legata a un rischio più elevato di sviluppare cancro colon-retto tramite il microbiota intestinale. È quanto emerge in uno studio recentemente pubblicato su Gastroenterology, nel quale i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital e i loro collaboratori hanno esaminato i dati di oltre 134.000 partecipanti da due studi di coorte prospettici condotti negli Stati Uniti. Il team, per farlo ha analizzato i modelli alimentari e il DNA dei ceppi di Escherichia coli trovati in più di 1.000 tumori del colon-retto (1).

Western-diet e rapporto con il microbiota

Nei Paesi sviluppati e in quelli in rapido sviluppo, i pasti facili, come i cibi pronti da cucinare e le bevande analcoliche contenenti zucchero, sono ampiamente disponibili e caratterizzanti la cosiddetta Western-diet. Sebbene questi alimenti rendano la vita molto più semplice rispetto al passato, contengono grandi quantità di carni lavorate, grassi saturi, grassi trans, sodio e zuccheri raffinati. Sono prodotti notevolmente calorici anche in piccole quantità e sono spesso privi ingredienti quali frutta, verdura e pesce (2), noti per i loro effetti positivi sulla salute. Questo modello alimentare così diffuso nei paesi occidentali sembra contribuire realmente alla sempre maggior diffusione di uno stato di infiammazione cronica e allo sviluppo di problemi metabolici. In questo contesto, le patologie legate al metabolismo sembrano dipendere fortemente dall’assunzione di alimenti, la quale a sua volta sembra soggetta all’asse intestino-cervello che modula il controllo dell’appetito, nonché ai metaboliti microbici che interagiscono con la via della sazietà, e in particolare con i neuroni ipotalamici. Nel caso specifico, la Western-diet sembra in parte responsabile della debolezza delle giunzioni strette e di risposte infiammatorie a lungo termine (3).

Cosa emerge di nuovo dal recente studio?

Per spiegare l’interconnessione tra modello alimentare, microbiota e potenziale maggior insorgenza di cancro colon-retto, lo studio si è soffermato sull’identificazione di ceppi batterici portatori di sintetasi polichetidici (PKS), una famiglia di complessi enzimatici che producono polichetidi, una grande classe di metaboliti secondari. Il team, in particolare, ha riscontrato come la dieta occidentale fosse associata a tumori del colon-retto contenenti elevate quantità di E. coli pks+, ma non a tumori contenenti una quantità minima o nulla di E. coli pks+. Il punteggio della dieta occidentale è stato calcolato utilizzando i dati del questionario di frequenza alimentare ottenuti ogni quattro anni durante il follow-up dei 134.775 partecipanti. Utilizzando la reazione a catena della polimerasi quantitativa, i ricercatori hanno misurato il DNA di E. coli pks+ in 1.175 tumori tra i 3.200 casi di tumore del colon-retto verificatisi durante il follow-up. A seguito dell’analisi, l’associazione del punteggio della Western-diet con l’incidenza del cancro colon-rettale è risultata più forte per i tumori contenenti livelli più elevati di E. coli pks+. Gli hazard ratio aggiustati in multivariabile (con intervallo di confidenza al 95%) per il terzile più alto (rispetto a quello più basso) del punteggio della dieta occidentale sono stati 3,45 per i tumori ad alto contenuto di E. coli pks+, 1,22 per i tumori a basso contenuto di E. coli pks+ e 1,10 per i tumori E. coli-negativi. In ragione di questi risultati, la Western-diet è stata associata a una maggiore incidenza di tumori del colon-retto contenenti abbondante E. coli pks+, sostenendo così il potenziale legame tra dieta, microbiota intestinale e carcinogenesi del colon-retto.

  1. Arima, K., Zhong, R., Ugai, T., Zhao, M., Haruki, K., Akimoto, N., … & Ogino, S. (2022). Western-style Diet, pks Island-Carrying Escherichia coli, and Colorectal Cancer: Analyses from Two Large Prospective Cohort Studies. Gastroenterology.
  2. Kim, J. Y., He, F., & Karin, M. (2021). From liver fat to cancer: Perils of the western diet. Cancers13(5), 1095.
  3. García-Montero, C., Fraile-Martínez, O., Gómez-Lahoz, A. M., Pekarek, L., Castellanos, A. J., Noguerales-Fraguas, F., … & Ortega, M. A. (2021). Nutritional components in Western diet versus Mediterranean diet at the gut microbiota–immune system interplay. Implications for health and disease. Nutrients13(2), 699.
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Alimentazione vegana o dieta onnivora? In medio stat virtus https://testing.sprim.it/~nutrimitest/alimentazione-vegana-o-dieta-onnivora-in-medio-stat-virtus/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/alimentazione-vegana-o-dieta-onnivora-in-medio-stat-virtus/#respond Mon, 20 Jun 2022 16:24:38 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=79674 Negli ultimi anni, il dibatto su quale regime alimentare preferire in termini di salute ha portato alla diffusione della convinzione che l’unica strada perseguibile sia l’adozione di un’alimentazione “veg”. Tuttavia, la scrittrice Jayne Buxton, attraverso la provocatoria pubblicazione del suo libro intitolato THE GREAT PLANT-BASED CON, ha cercato di dimostrare i diversi lati della medaglia del veganismo, con la volontà di ridurre gli estremismi offrendo una visione della complessità del sistema alimentare. Sì, perché sembra che la dieta vegana possa essere dannosa al pari, se non di più, di chi consuma soltanto carne.

Oggi, infatti, il consumo di alimenti “veg” è diventato più un trend che un’esigenza. La letteratura esistente ha da tempo studiato questo fenomeno, evidenziando il ruolo principale delle motivazioni etiche e spirituali e limitando invece le ragioni sociali e salutistiche, che hanno attirato l’attenzione degli studiosi solo di recente (1).

Senza approfondire quanto proposto dalla Buxton, la quale così come le critiche rivolte alla dieta vegana cerca di supportare la sua tesi coniugando informazioni sensazionalistiche a evidenze scientifiche, ciò che spinge il suo ragionamento viene giustificato dai problemi tutt’oggi riscontrati nell’adozione di regimi alimentari eccessivamente restrittivi.

Dieta e salute: i limiti di un’alimentazione vegana

Abbiamo parlato spesso dei vantaggi nutrizionali di un’alimentazione prevalentemente plant-based quando anche dei potenziali limiti di un’alimentazione esclusivamente a base vegetale. È ormai noto, infatti, come un regime alimentare a base vegetale ed equilibrato, che tuttavia non rinuncia al consumo moderato di alimenti di origine animale, sia considerato ad oggi il più protettivo nei confronti di diabete, malattie cardiovascolari, ictus e malattie neurodegenerative. Al contrario, l’adozione di un regime alimentare restrittivo come quello vegano, se non opportunamente calibrato ed integrato, sembra avere un impatto negativo in termini di salute, aumentando le probabilità di sviluppare atrofia muscolare, malattie della pelle e numerosi altri disturbi (3), tra cui un possibile incremento di sintomi psichici.
Nel momento in cui vengono escluse completamente categorie di alimenti, infatti, è importante fare scelte alimentari appropriate per poter raggiungere l’adeguatezza nutrizionale.
Se non correttamente pianificata e supplementata, anche attraverso alimenti fortificati o addizionati, una dieta vegana può portare all’insorgenza di diverse carenze nutrizionali (vitamine del gruppo B, vitamina D, acidi grassi omega-3, calcio, ferro, zinco e iodio) (4). Ulteriore insicurezza sull’adeguatezza nutrizionale subentra quando in un regime vegano vengono scelti alimenti vegetali ultra-processati che cercano di emulare le caratteristiche sensoriale e nutrizionali degli alimenti di origine animale (esempi ne sono le bevande vegetali, la fake meat e l’alt fish) che, in quanto altamente processati, sono spesso ricchi di grassi saturi, zucchero e sale e poveri di fibre e micronutrienti.

I dubbi nazionali confermano che la virtù sta nel mezzo

Dopo aver registrato un incremento nazionale nel 2021 nel numero di integralisti vegani, gli ultimi dati Eurispes 2022 confermano un calo del trend (-5,4%), con un 10% degli intervistati tornato ad un regime alimentare meno restrittivo e solo l’1,3% che dichiara di essere vegano. Dal 2014, la percentuale di vegetariani e vegani nel loro insieme è leggermente diminuita: erano il 7,1% nel 2014 e sono ora il 6,7%, il secondo dato più basso dopo il 2015 (5,9%). Di fronte alla domanda “Ha mai cercato di convincere altre persone a seguire una dieta vegetariana?”, il 62% di coloro che seguono un’alimentazione “veg” ha dichiarato di aver cercato di convincere i propri familiari; il 51,8% ha cercato di convincere il proprio partner; il 43,1% ha cercato di coinvolgere gli amici e il 29,2% ha cercato di convincere i conoscenti.
La consapevolezza nutrizionale degli individui, la conoscenza e la percezione soggettive dell’importanza di una dieta equilibrata sono fattori determinanti che influenzano le scelte alimentari, il comportamento dei consumatori e l’apporto nutrizionale molto più della conoscenza oggettiva, consolidata e acquisita da fonti qualificate senza interpretazione personale (5). Per diffondere una corretta cultura alimentare, sarebbe opportuno che la conoscenza oggettiva diventasse il cardine per consentire al singolo di effettuare le sue scelte, con la possibilità di rendersi conto di quale sia il regime alimentare più adatto per sé: vegetariano, onnivoro o vegano opportunamente calibrato.

  1. Martinelli, E., De Canio, F., & Nardin, G. (2021). Perché consumare cibo vegano? Una scelta etica e spirituale, non salutistica. Micro & Macro Marketing, 30(1), 173-193.
  2. Manippa, V. (2022). Vegetarianismo e Disturbi del Comportamento Alimentare: tra credenze e evidenzeSapienza.
  3. Selinger, E., Neuenschwander, M., Koller, A., Gojda, J., Kühn, T., Schwingshackl, L., … & Schlesinger, S. (2022). Evidence of a vegan diet for health benefits and risks–an umbrella review of meta-analyses of observational and clinical studies. Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 1-11.
  4. Bakaloudi, D. R., Halloran, A., Rippin, H. L., Oikonomidou, A. C., Dardavesis, T. I., Williams, J., … & Chourdakis, M. (2021). Intake and adequacy of the vegan diet. A systematic review of the evidence. Clinical nutrition, 40(5), 3503-3521.
  5. Scalvedi, M. L., Gennaro, L., Saba, A., & Rossi, L. (2021). Relationship between nutrition knowledge and dietary intake: an assessment among a sample of Italian adults. Frontiers in nutrition8.
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Riduzione del rischio di preeclampsia: quali i fattori dietetici coinvolti? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/riduzione-del-rischio-di-preeclampsia-quali-i-fattori-dietetici-coinvolti/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/riduzione-del-rischio-di-preeclampsia-quali-i-fattori-dietetici-coinvolti/#respond Mon, 13 Jun 2022 16:26:03 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=79072 In una revisione della letteratura, recentemente pubblicata su BMJ Nutrition, Prevention and Health, vengono esposti diversi fattori dietetici che potrebbero influenzare il rischio di preeclampsia, una condizione che colpisce il 3-5% delle donne in gravidanza in tutto al mondo ed è associata a una serie di esiti avversi materni e fetali (1).

Preeclampsia: clinica

La preeclampsia è una sindrome multisistemica caratterizzata dalla comparsa di ipertensione arteriosa (PAS persistente ≥ 140 mmHg e/o PAD ≥ 90 mmHg) nella seconda metà della gravidanza accompagnata da proteinuria e/o altre manifestazioni sistemiche, in assenza delle quali la diagnosi non può essere fatta.
Come anticipato, complica fino al 5% delle gravidanze a livello mondiale ed è una delle principali cause di morbidità e mortalità materna e fetale (2). Un’altra definizione è quella della Società Internazionale per lo Studio dell’Ipertensione in Gravidanza (ISSHP) che definisce la preeclampsia come un’ipertensione de novo presente dopo 20 settimane di gestazione associata a proteinuria (>300 mg/die) o ad altre disfunzioni degli organi materni, tra cui insufficienza renale, coinvolgimento epatico, complicazioni neurologiche o ematologiche, disfunzione uteroplacentare o restrizione della crescita fetale (3).

Preeclampsia: fattori dietetici implicati nel rischio

Le vie che influenzano lo sviluppo della preeclampsia includono fattori genetici, epigenetici, di stile di vita e ambientali. Tuttavia, in considerazione della scarsità di informazioni pubblicate sul binomio dieta – pleeclampsia, la revisione sistemica in questione si è soffermata sul tentativo di delineare quale sia il contributo dell’alimentazione e della conseguente condizione metabolica delle gestanti, al fine di strutturare un rudimento di raccomandazioni nutrizionali per ridurne il rischio di insorgenza.

È stato dimostrato che diversi nutrienti e fattori dietetici precedentemente ritenuti implicati nel rischio di preeclampsia non abbiano in realtà alcun effetto sul rischio; questi includono le vitamine C ed E, il magnesio, il sale, gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga ω-3 e lo zinco.

L’indice di massa corporea è proporzionalmente correlato al rischio di preeclampsia; pertanto, le donne dovrebbero mirare a un peso corporeo sano prima della gravidanza ed evitare un eccessivo aumento di peso durante la gestazione. L’associazione tra il rischio e la progressione della fisiopatologia della preeclampsia può spiegare l’apparente beneficio delle modifiche dietetiche derivanti dall’aumento del consumo di frutta e verdura (≥400 g/die), di alimenti a base vegetale e di oli vegetali e dalla limitazione dell’assunzione di alimenti ad alto contenuto di grassi, zucchero e sale. Il consumo di una dieta ricca di fibre (25-30 g/die) può attenuare la dislipidemia e ridurre la pressione sanguigna e l’infiammazione. Altri nutrienti chiave che possono attenuare il rischio sono un maggiore apporto di calcio, un’integrazione multivitaminica/minerale giornaliera e un adeguato stato di vitamina D. Per le persone con un basso apporto di selenio, infine, si potrebbe aumentare l’assunzione di pesce/alimenti ittici per migliorarne l’apporto.
Inoltre,è stata riscontrata un’associazione protettiva nell’uso di prodotti probiotici a base di latte; pertanto, le donne in gravidanza dovrebbero cercare di integrarli nella loro dieta (1).

In ragione dei fattori dietetici coinvolti, nella revisione sono stati esposti anche diversi modelli alimentari caratterizzati o meno da un contributo positivo nella gestione della patologia. Come intuibile, tra i modelli che aumentano il rischio di sviluppare preeclampsia un ruolo di rilievo è occupato dai modelli alimentari occidentali, caratterizzati da un eccessivo consumo di alimenti ultra-processati. Tra i modelli alimentari che invece sembrano ridurre il rischio, invece, si ritrovano la Nuova dieta nordica (NND), gli schemi dietetici “Dietary Approaches to Stop Hypertension” (Approcci dietetici per fermare l’ipertensione) e ultima, ma non per importanza, la Dieta Mediterranea.

  1. Perry, A., Stephanou, A., & Rayman, M. P. (2022). Dietary factors that affect the risk of pre-eclampsia. BMJ nutrition, prevention & health, e000399.
  2. Michelassi, S. (2019). Preeclampsia: Parte 1°: clinica, anatomia patologica e fisiologia. Giornale di Tecniche Nefrologiche e Dialitiche, 31(1), 4-11.
  3. Tranquilli, A., Dekker, G., Magee, L., Roberts, J., Sibai, B. M., Steyn, W., … & Brown, M. A. (2014). The classification, diagnosis and management of the hypertensive disorders of pregnancy: a revised statement from the ISSHP. Pregnancy Hypertension: An International Journal of Women’s Cardiovascular Health, 4(2), 97-104
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Arabinoxilani: da sottoprodotti a ingredienti funzionali per la salute e il controllo glicemico https://testing.sprim.it/~nutrimitest/arabinoxilani-da-sottoprodotti-a-ingredienti-funzionali-per-la-salute-e-il-controllo-glicemico/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/arabinoxilani-da-sottoprodotti-a-ingredienti-funzionali-per-la-salute-e-il-controllo-glicemico/#respond Mon, 06 Jun 2022 15:27:35 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=78510 A fronte delle crescenti richieste dei consumatori di prodotti alimentari più sani e sostenibili, i sistemi alimentari stanno provvedendo a ottimizzare molti dei loro processi produttivi. Un valido esempio è offerto dall’upcycling di sottoprodotti, quali in particolare gli arabinoxilani, derivanti dalle filiere cerealicole, al fine di produrre alimenti funzionali con effetti positivi sulla salute e soprattutto sul controllo glicemico. Ma cosa sono esattamente gli arabinoxilani e quali effetti sembrano avere sulla salute umana?

Arabinoxilani: cosa sono e che funzioni hanno?

Attraverso l’elaborazione di scarti e avanzi di lavorazione dei cereali (crusca di frumento, trebbie di orzo, crusca di avena), come anticipato, è possibile ottenere dei sottoprodotti ricchi in componenti capaci di promuovere la salute, tra cui vitamine, polifenoli, minerali ma soprattutto fibre alimentari (1). Tra queste ultime, un posto di rilievo spetta agli arabinoxilani (AX), Pentosani appartenenti alla categoria delle emicellulose (2) che possono essere insolubili e solubili (3). Quelli solubili, in particolare, sembrano avere proprietà salutistiche quali la capacità di modulare l’assorbimento del glucosio, ritardare lo svuotamento gastrico, rallentare il transito intestinale, ridurre la diffusione del glucosio nel lume intestinale, inibire l’attività degli enzimi digestivi e svolgere effetti prebiotici (4). 

Arabinoxilani ed effetti favorevoli alla salute umana

La struttura chimica degli arabinoxilani non è semplice ed è influenzata dalla fonte di origine, dallo stato di germinazione, dalla posizione all’interno del materiale vegetale e dal processo di estrazione. Anche l’effetto degli AX sulla salute umana non è semplice da definire e standardizzare, considerando la composizione soggettiva del microbiota su cui gli AX agiscono. Nonostante ciò, è comunque possibile delineare degli effetti positivi generali, che riscontrano il consenso della comunità scientifica, sul consumo di alimenti che presentano arabinoxilani. Tra gli effetti favorevoli alla salute, in particolare, si ricordano:
– la modifica della produzione di acidi grassi a catena corta (SCFAs) nel colon attraverso la regolazione del microbiota intestinale;
– la capacità antiossidante;
– l’effetto ipoglicemizzante e il controllo della risposta glicemica post-prandiale

Il rapporto e l’abbondanza di SCFAs, come anticipato, sono correlati alla composizione del microbiota intestinale, che è influenzata dalla struttura chimica degli AX utilizzati. La capacità antiossidante degli AX, invece, sembra essere influenzata dallo stato in cui l’acido ferulico (antiossidante naturale) è presente negli AX, con una maggiore capacità antiossidante osservata quando è legato.
Infine, l’effetto ipoglicemizzante dell’AX è legato alla modulazione dell’attività dell’α-amilasi, che può scindere i carboidrati a lunga catena con un conseguente aumento postprandiale dei livelli di glucosio nel sangue (5). Gli AX possono influenzare la risposta glicemica postprandiale anche attraverso le loro proprietà viscose.

Arabinoxilani ed effetti sul controllo glicemico

A proposito di controllo glicemico, l’EFSA ha approvato ai sensi dell’articolo 13.1 del Regolamento (CE) 1924/2006 il claim relativo agli arabinoxilani dell’endosperma di frumento come capaci di ridurre l’aumento della glicemia postprandiale. Questa indicazione, tuttavia, potrebbe essere estesa anche agli AX ottenuti da altre specie vegetali quale, ad esempio, l’orzo, allargando così la gamma di prodotti funzionali per la salute e derivanti da processi di riutilizzo dei sottoprodotti in ottica di economia circolare. In un recente studio clinico, un campione di soggetti sani è stato randomizzato in due gruppi, di cui uno sottoposto all’assunzione di un integratore alimentare contenente AX e l’altro a un placebo. Entrambi i gruppi hanno assunto dei grissini con un contenuto in carboidrati disponibili pari a 50 g. A seguito delle analisi è emersa l’esistenza di una differenza sulla curva glicemica post-prandiale nei soggetti che avevano assunto l’integratore, dimostrando ulteriormente come gli AX possano effettivamente partecipare alla riduzione dell’aumento dei livelli ematici di glucosio post-prandiale.

Contenuto realizzato con il contributo non condizionante di Heallo

1. Luithui, Y., Baghya Nisha, R., & Meera, M. S. (2019). Cereal by-products as an important functional ingredient: effect of processing. Journal of food science and technology, 56(1), 1-11.
2. Giulia Falchi, A., Grecchi, I., Muggia, C., Palladini, G., & Perlini, S. (2016). Effects of a bioavailable arabinoxylan-enriched white bread flour on postprandial glucose response in normoglycemic subjects. Journal of dietary supplements, 13(6), 626-633.
3. Bader Ul Ain, H., Saeed, F., Ahmad, N., Imran, A., Niaz, B., Afzaal, M., … & Javed, A. (2018). Functional and health-endorsing properties of wheat and barley cell wall’s non-starch polysaccharides. International Journal of Food Properties, 21(1), 1463-1480.
4. Christensen, K. L., Hedemann, M. S., Lærke, H. N., Jørgensen, H., Mutt, S. J., Herzig, K. H., & Bach Knudsen, K. E. (2013). Concentrated arabinoxylan but not concentrated β-glucan in wheat bread has similar effects on postprandial insulin as whole-grain rye in porto-arterial catheterized pigsJournal of agricultural and food chemistry61(32), 7760-7768.
5. Zannini, E., Bravo Núñez, Á., Sahin, A. W., & Arendt, E. K. (2022). Arabinoxylans as Functional Food Ingredients: A ReviewFoods11(7), 1026.
6. Daglia, M. (2022). Riutilizzo funzionale di sottoprodotti per la modulazione di glicemia post-prandiale e insulinemia: nuovi studi.

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Legumi: buone pratiche pubbliche per aumentarne il consumo https://testing.sprim.it/~nutrimitest/legumi-buone-pratiche-pubbliche-per-aumentarne-il-consumo/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/legumi-buone-pratiche-pubbliche-per-aumentarne-il-consumo/#respond Mon, 30 May 2022 15:37:23 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=78019 I tassi di aumento delle NCD sono allarmanti in tutto il mondo e la prevenzione primaria, alla cui base vi è una sana alimentazione, è essenziale per invertire questa tendenza.
Alla base di una sana alimentazione, come ormai noto, i legumi occupano un posto di rilievo, soprattutto grazie alla ricchezza in nutrienti e fibre, al ruolo che hanno nella tradizione gastronomica di diverse culture e al loro contributo nella costruzione di sistemi alimentari più sostenibili.

In ragione di ciò, una recente revisione pubblicata su Legume Science approfondisce la letteratura scientifica esistente alla ricerca di studi solidi e significativi, che confermino l’effetto positivo dei legumi sulla salute umana, evidenziando al contempo alcune aree di intervento per consolidare il loro ruolo come strumento di salute pubblica (1).

Legumi: in Italia li consuma con frequenza solo metà della popolazione adulta

Diversi studi sostengono che l’aumento del consumo pubblico di legumi potrebbe essere un approccio pratico ed economico per aiutare a combattere l’attuale epidemia di obesità e prevenire numerose malattie, tra cui diversi tipi di cancro, malattie cardiovascolari (CVD) e diabete di tipo 2 (2). Nonostante ciò, il consumo di legumi non ha ancora raggiunto livelli in linea con quanto raccomandato dalle linee guida per una sana alimentazione e, secondo i dati Istat sugli aspetti di vita quotidiana solo il 52% della popolazione adulta li consuma almeno qualche volta a settimana (3). A tal proposito, la percezione dei consumatori sembra giocare un ruolo rilevante nella ridotta assunzione di questa categoria di alimenti e i motivi trainanti sembrano essere una scarsa conoscenza sui legumi, su come prepararli, gli eccessivi tempi di cottura e le preoccupazioni derivanti da gonfiore e possibili flatulenze (4).

Raccomandazioni per far progredire la ricerca sul ruolo dei legumi nella salute pubblica

Uno dei problemi associati al consumo di legumi è prettamente dialettico. Spesso, infatti, capita che i consumatori siano scoraggiati nel consumare legumi a causa della presenza di composti definiti anti-nutrienti. Questi, in realtà, sono definiti così poiché non apportano calorie e, a differenza di quanto il nome faccia pensare, sono preziosi composti bioattivi con importanti funzioni fisiologiche per il nostro organismo, tra cui ad esempio un’azione antiossidante (1). In ragione di ciò, una prima raccomandazione riguarda l’importanza di insistere sull’educazione alimentare e la corretta divulgazione di informazioni al fine di costruire una cultura alimentare sempre più consapevole.

Una seconda raccomandazione al fine di aumentare il consumo di legumi nella popolazione generale riguarda la necessità di progettare e convalidare dei sistemi di valutazione dietetica specifici. Dovrebbero infatti essere ideati sistemi di valutazione in grado di quantificare l’assunzione totale di legumi come questionari specifici sulla frequenza degli alimenti. Utilizzando questi strumenti, dovrebbero dunque essere esaminati gli effetti rispetto a tipologia di legume, alla frequenza di consumo e al differente impatto nel consumo sulla salute nei diversi sessi (studi umani e su modello murino confermano che le fibre contenute nei legumi potrebbero avere impatti differenti sulla salute nei due sessi) (1).

Una terza raccomandazione vede di nuovo al centro il mondo della ricerca, chiamato a incorporare gli sforzi di sensibilizzazione basandosi sulla teoria del cambiamento comportamentale. Condividere i risultati di ricerca ottenuti è essenziale, ma questi ultimi dovrebbero diventare comprensibili e accessibili a un pubblico sempre più ampio. Tuttavia, è necessario andare oltre la semplice diffusione delle informazioni, perché la conoscenza da sola è inadeguata per cambiare i comportamenti sanitari. In ragione di ciò viene raccomandata l’implementazione di teorie sul cambiamento comportamentale per motivare un comportamento sempre più sostenibile e salutare del consumatore. Questo implica una collaborazione intersettoriale crescente tra le branche della psicologia e della nutrizione.

Infine, così come è stato costruito il National Weight Control Registry, la revisione si pone l’obiettivo di creare un National Pulse Registry, che idealmente potrebbe diventare internazionale. Questo registro dovrebbe enfatizzare gli esiti desiderabili sulla salute derivanti dal consumo di legumi attraverso aneddoti personali ed esperienze di rappresentanti provenienti da diverse realtà sociali, socioeconomiche e culturali. Ciò incoraggerebbe le persone a ritenere che i suggerimenti e i benefici per la salute siano più pertinenti, riconoscibili e realistici (1).

1.Didinger, C., & Thompson, H. J. (2022). The role of pulses in improving human health: A review. Legume Science, e147.
2. Didinger, C., Foster, M. T., Bunning, M., & Thompson, H. J. (2022). Nutrition and Human Health Benefits of Dry Beans and Other Pulses. Dry Beans and Pulses: Production, Processing, and Nutrition, 481-504.
3. ISTAT (2022). Salute e Sanità- Aspetti della vita quotidiana – Persone: Pane, legumi, latte, formaggi – età dettaglio.
4. Henn, K., Goddyn, H., Olsen, S. B., & Bredie, W. L. (2022). Identifying behavioral and attitudinal barriers and drivers to promote consumption of pulses: A quantitative survey across five European countries. Food Quality and Preference, 98, 104455.

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Amido resistente: una fibra solubile alleata nel controllo della glicemia https://testing.sprim.it/~nutrimitest/amido-resistente-una-fibra-solubile-alleata-nel-controllo-della-glicemia/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/amido-resistente-una-fibra-solubile-alleata-nel-controllo-della-glicemia/#respond Fri, 13 May 2022 15:55:50 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=75763 Per la salute è fondamentale mantenere livelli corretti di glucosio nel sangue, con valori di glicemia tra i 70 e i 99 mg/dl. Questi valori dipendono sia da processi metabolici legati alla sintesi del glucosio (gluconeogenesi e glicogenolisi), sia da quanti e quali carboidrati assumiamo con la dieta. I carboidrati, infatti, non sono tutti uguali e in base ai loro effetti sulla glicemia postprandiale, riscontrabile tramite un parametro definito indice glicemico (IG), possono essere preferibili per l’alimentazione di tutti i giorni (1). A tal proposito, in uno studio portoghese, vengono riportati i vantaggi del consumo di carboidrati caratterizzati dalla presenza di amido resistente, una fibra solubile la cui azione di modulazione sulla glicemia, negli anni, ha portato al suo uso come ingrediente funzionale nella formulazione dei prodotti a basso indice glicemico (2).  

Indice glicemico: che cos’è?

Il concetto di indice glicemico (IG), è stato introdotto nel 1981 ed è un sistema di classificazione numerica usato per misurare, o meglio stimare, l’aumento della glicemia nelle due ore che seguono l’assunzione di alimenti contenenti carboidrati (3). È un parametro che può dipendere da diversi fattori: dal tipo di zucchero contenuto (saccarosio, lattosio, fruttosio, glucosio o altri), dalla natura e dalla forma dell’amido, dalla disponibilità di quest’ultimo durante la digestione, da metodi di cottura, nonché dal contenuto di fibre alimentari, specialmente solubili (4).

Fibre solubili: che cos’è l’amido resistente?  

Alimenti tipici della Dieta Mediterranea, come frutta, verdura e legumi, sono noti per influenzare positivamente la glicemia, in quanto il loro contenuto in fibre solubili abbassa il loro indice glicemico e li rende ottimi prebiotici per il microbiota. Tra le fibre solubili con proprietà prebiotiche è particolarmente degno di nota l’amido resistente (RS), le cui proprietà hanno portato l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ad autorizzare la sua indicazione sulla salute rispetto alle concentrazioni postprandiali di glucosio nel sangue (5).

L’amido resistente (RS) è un amido solubile non viscoso e fermentabile, definito come la porzione di amido che non può essere digerita dalle amilasi nell’intestino tenue e fermentata dal microbiota una volta raggiunto il colon. È noto per ridurre l’indice glicemico degli alimenti portando il metabolismo a fornire una miglior risposta glicemica e insulinemica, tanto che per anni è stato consigliato come alimento funzionale nel caso di diabete (2). Oltre ai suoi benefici relativi alla glicemia postprandiale, l’amido resistente è stato studiato in quanto potenzialmente capace di diminuire i livelli sierici di colesterolo e trigliceridi, contribuendo così alla prevenzione delle patologie cardiovascolari (6), e come ingrediente in grado di aumentare sazietà e assorbimento di micronutrienti, contribuendo in questo caso al controllo del peso (7) e alla salute gastrointestinale (8).

L’amido resistente viene classificato in 5 tipi: RS 1, 2, 3, 4 e 5.
L’RS1 comprende grani interi o parzialmente macinati ottenuti da cereali e legumi. L’RS2 rappresenta i grani lentamente digeribili, gli unici che mantengono la loro struttura e resistono anche durante i diversi processi di preparazione degli alimenti. In questo gruppo sono incluse le patate crude, gli amidi ad alto contenuto di amilosio e le banane verdi. L’RS3 consiste in polimeri di amido retrodegradati, che vengono prodotti quando l’amido viene raffreddato dopo la gelatinizzazione. L’RS4 consiste in un gruppo di amidi chimicamente modificati da composti organici che diminuiscono la loro digeribilità. Infine, agli RS5 sono stati attribuiti due diversi tipi di componenti: il primo comprende complessi amilosio-lipidici, che si formano durante la lavorazione e vengono potenziati dopo la cottura, o possono essere creati artificialmente. Il secondo comprende la maltodestrina resistente, che viene lavorata principalmente per riorganizzare le molecole di amido (2).
Che l’amido resistente sia naturalmente presente negli alimenti o addizionato la sua funzione resta quella di riuscire a “sfuggire” alla digestione e all’assorbimento raggiungendo l’intestino crasso, dove fungerà da substrato per il microbiota (9) e proseguirà la serie di processi metabolici che lo rendono un perfetto alleato tanto nel controllo della glicemia, quanto nelle altre azioni preventive per il quale viene riconosciuto.

Contenuto realizzato con il contributo non condizionante di Molino Spadoni

1. Sacks, F. M., Carey, V. J., Anderson, C. A., Miller, E. R., 3rd, Copeland, T., Charleston, J., Harshfield, B. J., Laranjo, N., McCarron, P., Swain, J., White, K., Yee, K., & Appel, L. J. (2014). Effects of high vs low glycemic index of dietary carbohydrate on cardiovascular disease risk factors and insulin sensitivity: the OmniCarb randomized clinical trial. JAMA, 312(23), 2531–2541.
2. Ferronatto, A. N., Rossi, R., & Cappellari, F. (2020). Amido resistente: alternativa de alimento funcional para a homeostase da glicose, redução do perfil lipídico e modulação da microbiota intestinal. Saúde e Desenvolvimento Humano, 8(2), 109-120.
3. Jenkins, D. J., Wolever, T. M., Taylor, R. H., Barker, H., Fielden, H., Baldwin, J. M., … & Goff, D. V. (1981). Glycemic index of foods: a physiological basis for carbohydrate exchange. The American journal of clinical nutrition, 34(3), 362-366.
4. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione.
5. European Food Safety Authority (EFSA) (2011). L’EFSA completa la valutazione di 442 ulteriori indicazioni “funzionali generiche” sulla salute. https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/nda110408
6. Soliman, G. A. (2019). Dietary fiber, atherosclerosis, and cardiovascular disease. Nutrients, 11(5), 1155.
7. Guo, J., Tan, L., & Kong, L. (2021). Impact of dietary intake of resistant starch on obesity and associated metabolic profiles in human: A systematic review of the literature. Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 61(6), 889-905.
8. Li, C., & Hu, Y. (2022). New definition of resistant starch types from the gut microbiota perspectives–a review. Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 1-11.
9. Bird, A. R., & Regina, A. (2018). High amylose wheat: A platform for delivering human health benefits. Journal of Cereal Science, 82, 99–105.

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Assumere la giusta quantità di fibre giornaliera? Si parte dalla colazione! https://testing.sprim.it/~nutrimitest/assumere-la-giusta-quantita-di-fibre-giornaliera-si-parte-dalla-colazione/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/assumere-la-giusta-quantita-di-fibre-giornaliera-si-parte-dalla-colazione/#respond Fri, 06 May 2022 16:22:25 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=75307 Alla base di una corretta alimentazione, volta a mantenere un buono stato di salute, occupano un posto di rilievo le fibre alimentari che, seppur non dotate di un valore nutrizionale in termini energetici e/o bioregolatori, svolgono un’importante azione a livello metabolico e gastroenterologico (1).
In ragione del ruolo che esercitano, è importante che un adulto in salute ne assuma ogni giorno almeno 25 grammi, mentre in età evolutiva l’assunzione adeguata corrisponde a 8,4 g/1000 kcal (2). Nonostante sia importante assumere fibre nelle giuste quantità, a livello nazionale la popolazione adulta ne consuma in media solo 18 g/die (3).

Fibre alimentari e salute

La fibra alimentare è fondamentale per diverse funzioni fisiologiche dell’organismo. In particolare, la fibra solubile limita l’assorbimento di zuccheri e grassi, aumenta il volume fecale e la viscosità del contenuto intestinale. Quella insolubile, invece, facilita il transito del bolo alimentare, facilita l’evacuazione delle feci (4) ed è associata a potenziali effetti prebiotici: le evidenze suggeriscono che un aumento dell’intake di fibra di frumento pari a 6 g al giorno sia in grado di promuovere la diversità microbica (5). Inoltre, sono diversi gli studi che riportano gli effetti vantaggiosi del consumo di fibra nei confronti delle NCD (6,7).

Più fibra dalla prima colazione: una valida strategia per aumentare l’intake giornaliero di fibra

La colazione è un pasto essenziale per il mantenimento di un buono stato di salute. Chi fa abitualmente la prima colazione tende ad avere un profilo metabolico migliore per quanto attiene il rischio cardiovascolare e allo stato di salute e benessere generale dell’individuo (4). La fibra assunta a colazione, inoltre, può avere un effetto positivo sul metabolismo glucidico. In un recente studio è stato evidenziato come il progressivo aumento di fibra a colazione (da 2 a 8 grammi), mantenendo costante il contenuto energetico, riduca la risposta insulinemica. In questo senso, aumentarne il consumo nel primo pasto della giornata faciliterebbe sia il raggiungimento dell’apporto giornaliero raccomandato, sia i suoi effetti positivi in termini di salute pubblica (8). Secondo quanto emerge dall’ultimo documento SINU-SISA sulla prima colazione, tra le valide strategie per integrare la giusta quota di fibre giornaliera rientrano, oltre che un quotidiano consumo di frutta e verdura, anche la scelta di optare per prodotti amidacei ricchi in fibra quali, ad esempio, i cereali da colazione (8). Vi è infatti un’ulteriore evidenza che l’utilizzo di cereali da prima colazione faciliti un maggior apporto calorico complessivo da carboidrati complessi, una minore quantità di grassi e un maggior apporto di fibra e di altri nutrienti essenziali rispetto a chi salta la colazione o la fa senza l’uso di cereali. Inoltre, è stato dimostrato che i cereali da prima colazione stimolano un maggior consumo di frutta e una migliore qualità complessiva della dieta nonché un più equilibrato apporto di nutrienti, tra cui proprio le fibre (9,10).

Proprio in ragione della loro importanza, le fibre e la prima colazione sono state protagoniste della ricerca Nutrimi in collaborazione con Kellogg “Benessere olistico: italiani tra colazione bilanciata, stile di vita e buoni propositi” (di cui abbiamo parlato anche qui), svolta nell’ambito della campagna “Coltiviamo la bontà”.

La ricerca, condotta su un campione di consumatori attenti al benessere e professionisti della salute, ha evidenziato quanto l’idea di benessere “olistico” per 8 italiani su 10 passi attraverso un’alimentazione varia e bilanciata abbinata ad un’adeguata attività fisica.

La consapevolezza di quanto la colazione sia importante è condivisa dal 70% degli intervistati; tuttavia, meno della metà sembra riuscire a fare una colazione nutriente e bilanciata ogni giorno.

La combinazione di cereali, yogurt e frutta fresca è quella che meglio rappresenta una colazione nutriente ed equilibrata per più del 60% degli intervistati.

In particolare, i cereali sono ritenuti la migliore fonte di fibra a colazione da 6 intervistati su 10, a pari merito con la frutta fresca. Anche l’importanza della fibra per la salute è riconosciuta da più del 98% degli intervistati. Tuttavia, anche in questo caso, meno del 50% dei consumatori ha dichiarato di prestare attenzione all’assunzione di fibre durante la giornata.

Appare evidente quanto sia importante congiungere gli sforzi delle istituzioni, dei professionisti e delle aziende per diffondere una maggiore consapevolezza sull’importanza di una regolare e sufficiente assunzione di fibre fin dal mattino, nel contesto di una quotidiana colazione nutriente e bilanciata.

Contenuto realizzato con il contributo non condizionante di Kellogg Italia

  1. Del Toma. (1995). Dietoterapia e nutrizione clinica (2. ed). Il Pensiero scientifico.
  2. Società Italiana di Nutrizione Umana (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana–IV Revisione. SICS Editore.
  3. Sette S, Le Donne C, Piccinelli R, Arcella D, Turrini A, Leclercq C; INRAN-SCAI 2005-6 Study Group. The third Italian National Food Consumption Survey, INRAN-SCAI 2005-06—part 1: nutrient intakes in Italy. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2011 Dec;21(12):922-3.
  4. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).
  5. Jefferson, A., & Adolphus, K. (2019). The effects of intact cereal grain fibers, including wheat bran on the gut microbiota composition of healthy adults: a systematic review. Frontiers in Nutrition, 6, 33.
  6. Milajerdi, A., Ebrahimi-Daryani, N., Dieleman, L. A., Larijani, B., & Esmaillzadeh, A. (2021). Association of dietary fiber, fruit, and vegetable consumption with risk of inflammatory bowel disease: a systematic review and meta-analysis. Advances in Nutrition, 12(3), 735-743.
  7. Gianfredi, V., Nucci, D., Salvatori, T., Dallagiacoma, G., Fatigoni, C., Moretti, M., & Realdon, S. (2019). Rectal cancer: 20% risk reduction thanks to dietary fibre intake. systematic review and meta-analysis. Nutrients, 11(7), 1579.
  8. Società Italiana di Nutrizione Umana e Società Italiana di Scienze dell’alimentazione. (2018). Documento SINU –SISA per la Prima Colazione. Roma.
  9. Deshmukh-Taskar, P., Nicklas, T. A., Radcliffe, J. D., O’Neil, C. E., & Liu, Y. (2013). The relationship of breakfast skipping and type of breakfast consumed with overweight/obesity, abdominal obesity, other cardiometabolic risk factors and the metabolic syndrome in young adults. The National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES): 1999–2006. Public health nutrition, 16(11), 2073-2082.
  10. Williams, P. G. (2014). The benefits of breakfast cereal consumption: a systematic review of the evidence base. Advances in nutrition, 5(5), 636S-673S.

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Asse intestino-cervello e “appetito” di sodio: quale nesso? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/asse-intestino-cervello-e-appetito-di-sodio-quale-nesso/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/asse-intestino-cervello-e-appetito-di-sodio-quale-nesso/#respond Wed, 04 May 2022 16:24:03 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=75171 Nonostante l’assunzione di sodio sia generalmente regolata da meccanismi neuroendocrini, sembra che la sua assunzione possa essere legata anche ad agenti infiammatori che agiscono direttamente sul sistema nervoso centrale. Così, la segnalazione immunitaria, e in particolare quella relativa all’asse intestino-cervello, sembra avere il potenziale per influenzare il controllo dell’assunzione di sodio. Questo è quanto emerge in un recente studio pubblicato su Appetite, grazie al lavoro congiunto dei ricercatori di tre differenti università brasiliane (1).

Sodio: ruolo e meccanismi di regolazione

Il sodio è un elemento alcalino che espleta diverse funzioni nel nostro organismo quali, ad esempio, il mantenimento del potenziale transmembrana, del volume cellulare e dell’omeostasi dei fluidi corporei (2).
Il contenuto di sodio e di acqua nel corpo, infatti, è responsabile dell’omeostasi dei fluidi attraverso meccanismi che coinvolgono l’escrezione e l’assunzione di acqua e di questo minerale. Quando il contenuto corporeo di sodio diminuisce sotto la soglia omeostatica, si verifica una condizione definita carenza di sodio, che viene genericamente compensata attraverso una sua maggior assunzione (1).
Una situazione carenziale di sodio, tuttavia, non è frequente. Infatti, in condizioni fisiologiche normali, la quantità di sodio da reintegrare con la dieta è bassissima (circa 0,1-0,6 g al giorno) e con le diete moderne ricche in sale generalmente viene superata la quota necessaria (il che non solo non partecipa allo sviluppo di stati carenziali ma, al contrario, punta all’eccesso, il quale è un noto fattore di rischio per la salute cardiovascolare).

Nonostante il meccanismo più noto che regola il bilancio di sodio nel nostro organismo sia dipendente dal sistema neuroendocrino (i neuroni osmorecettori, localizzati a livello ipotalamico, fungono proprio da “sensori” (3)) restano ancora molte incognite sui meccanismi di regolazione, e recenti studi hanno dimostrato un possibile coinvolgimento dell’asse-intestino cervello nell’equilibrio idro-elettrolitico.

Asse intestino-cervello e assunzione di sodio

Secondo quanto riportato nello studio, sembra vi sia la possibilità che i sistemi immunitari periferici e centrali possano influenzare il circuito neuronale che orchestra l’assunzione di sale nei mammiferi, sia in condizioni di salute che in stati fisiopatologici.
Alcuni componenti della dieta quali il sodio e i grassi, se ingeriti in grandi quantità, possono facilitare l’assorbimento passivo di agenti infettivi e non infettivi attraverso l’intestino e innescare cambiamenti nella segnalazione intestinale attraverso il sistema immunitario.
Questo poiché il sodio sembrerebbe avere la capacità di aumentare la permeabilità intestinale, consentendo così la traslocazione dal lume intestinale sino al flusso sanguigno di agenti capaci di innescare risposte locali di reazione immunitaria.
In tal senso, il sistema immunitario, interagendo con le molecole di segnalazione sia a livello locale che sistemico, sembra partecipare ai meccanismi fisiologici che regolano l’omeostasi dei fluidi. Di conseguenza, la complessità del sistema immunitario, le sue variazioni e, forse, lo stato del sistema immunitario innato e adattativo sembrano essere fattori importanti che contribuiscono allo sviluppo di malattie croniche non trasmissibili (1).

1. Freitas, F. E. D. A., Batista, M. A. C., de Assis Braga, D. C., de Oliveira, L. B., Antunes, V. R., & Cardoso, L. M. (2022). The gut-brain axis and sodium appetite: Can inflammation-related signaling influence the control of sodium intake?. Appetite, 106050.
2. Pollock, J. S., Ryan, M. J., Samson, W. K., & Brooks, D. P. (2014). Water and electrolyte homeostasis brings balance to physiology. American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology, 307(5), R481-R483.
3. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018)

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