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Istituzioni – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest La nutrizione in pratica Mon, 04 Jul 2022 16:41:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.4 https://testing.sprim.it/~nutrimitest/wp-content/uploads/2019/09/favicon-2.png Istituzioni – Nutrimi https://testing.sprim.it/~nutrimitest 32 32 Sostituti del sale nei prodotti ittici industriali: nuova valutazione EFSA https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sostituti-del-sale-nei-prodotti-ittici-industriali-nuova-valutazione-efsa/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sostituti-del-sale-nei-prodotti-ittici-industriali-nuova-valutazione-efsa/#respond Mon, 04 Jul 2022 16:41:03 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=81446 L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha recentemente pubblicato un report per valutare benefici e rischi derivanti dalla sostituzione del cloruro di sodio con altri sali/sostanze nei prodotti ittici industriali. La riduzione di sale, infatti, è tra le principali priorità delle autorità sanitarie di tutto il mondo e tra queste, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha adottato diverse strategie per ridurne l’assunzione del 30% entro il 2025. Si stima che il raggiungimento di questo obiettivo (rispetto ai livelli del 2010) permetterebbe di salvare circa 40 milioni di vite in 30 anni.

Tra le diverse strategie prese in considerazione emergono in particolare politiche governative, campagne sociali, monitoraggio dell’assunzione di sale da parte della popolazione e cooperazione con le industrie alimentari al fine di riformulare i prodotti. A proposito di questo ultimo punto, inoltre, è interessante notare l’esistenza di strategie di riduzione di sodio distinte: da un lato la possibilità di riformulare gli alimenti semplicemente riducendo il contenuto di NaCl durante le fasi di lavorazione; dall’altro la possibilità di sostituire l’NaCl con prodotti alternativi quali cloruro di potassio (di cui abbiamo parlato anche in un altro articolo), cloruro di magnesio e di calcio, o aggiungendo esaltatori di sapidità (1).

Assunzione attuale di sodio nazionale ed europea  

Il sodio viene assunto nell’alimentazione quotidiana principalmente sotto forma di sale (cloruro di sodio o NaCl), ingrediente alimentare che da un lato contribuisce a migliorare la durata della conservazione e le caratteristiche sensoriali del prodotto, dall’altro invece è un ormai noto fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, tra cui ictus e malattie cardiache. Ad oggi, l’assunzione effettiva di NaCl nella maggior parte dei Paesi è di gran lunga superiore al livello raccomandato di 5 g NaCl/giorno.
Infatti, a livello globale emerge come il consumo giornaliero di sale sia in media il doppio, se non triplo, di quello raccomandato dall’OMS, mentre in Italia i valori sono di poco inferiori. Già nel periodo 2018-2019, ad esempio, attraverso la raccolta delle urine delle 24 ore in campioni di popolazione tra i 35 e i 74 anni residenti in 10 regioni italiane, è stato possibile osservare un consumo medio giornaliero di sale pari a 9,5 g negli uomini e 7,2 g nelle donne, risultando inferiore a 5 g al giorno soltanto nel 9% degli uomini e nel 23% delle donne (2). 

Riduzione di sodio nei prodotti ittici: perché?

Tra le diverse categorie di alimenti industriali su cui le autorità sanitarie stanno cercando di intervenire vi sono sicuramente i prodotti ittici industriali. La riduzione dell’assunzione di sale in questi prodotti sarebbe particolarmente importante soprattutto per le regioni dove il consumo di prodotti ittici è elevato (ad esempio Islanda, Maldive, Micronesia e Hong Kong dove il consumo è ≥ 70 kg pro capite/anno contro una media globale di 20 kg pro capite/anno). Ciò che in parte ostacola la riduzione di sodio è la preferenza di molti consumatori per i prodotti ittici affumicati, tra le altre cose tra quelli con un contenuto in sodio nettamente superiore. Una porzione di 100 g di pesce affumicato disponibile in commercio, infatti, spesso fornisce fino al 100% dell’apporto giornaliero raccomandato di NaCl.

EFSA: quali le attività intraprese per valutare gli effetti della riduzione del sodio nei prodotti ittici?

Lo scopo del progetto era quello di revisionare la letteratura esistente, valutando benefici/rischi della sostituzione di NaCl con altre sostanze/ingredienti nei prodotti ittici, diffondendo poi i risultati ottenuti.
Nella prima fase del progetto, è stata eseguita la revisione della letteratura e preparato il documento di revisione. La seconda parte del progetto si è concentrata in particolare su degli studi sperimentali sulla trota affumicata, i cui prodotti disponibili in commercio contengono fino a 4 g di NaCl per 100 g di prodotto. Lo scopo di questa parte era ottimizzare il processo di sviluppo della trota affumicata con un contenuto ridotto di NaCl senza compromettere gli attributi di qualità e sicurezza. L’altra parte del progetto, infine, è stata destinata alla divulgazione dei risultati, che ha portato alla preparazione di tre abstract e di due articoli sperimentali.

I risultati hanno permesso di identificare le formulazioni con gli attributi più desiderabili, soprattutto in relazione al rapporto riduzione di NaCl/attributi sensoriali. I risultati hanno indicato che la sostituzione di NaCl con cloruro di potassio, con o senza agente mascherante, potrebbe essere una potenziale soluzione per raggiungere diete più sostenibili e salutari (con un contenuto inferiore di Na e superiore di K). La trota affumicata prodotta con cloruro di potassio può essere etichettata come “fonte di K” secondo il Regolamento (CE) n. 1924/2006, che è essenziale per sostenere la pressione sanguigna, la salute cardiovascolare, la forza delle ossa e dei muscoli. Inoltre, il rapporto Na:K, anch’esso associato positivamente alla pressione arteriosa e predittore del rischio cardiovascolare, è diminuito nei prodotti preparati con sostituzione di NaCl rispetto ai prodotti affumicati tradizionali, supportando ulteriormente la validità di questa sostituzione (1).

1. Rybicka, I., & Nunes, M. L. (2022). Benefit and risk assessment of replacing of sodium chloride by other salt/substances in industrial seafood products. EFSA Journal, 20, e200420.
2. Ministero della Salute (2022). 14-20 marzo 2022, Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale.

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“Non c’è posto per l’alcol a basso costo”: un nuovo rapporto OMS https://testing.sprim.it/~nutrimitest/non-ce-posto-per-lalcol-a-basso-costo-un-nuovo-rapporto-oms/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/non-ce-posto-per-lalcol-a-basso-costo-un-nuovo-rapporto-oms/#respond Tue, 28 Jun 2022 15:37:14 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=80663 La Regione europea dell’OMS presenta alcuni dei più alti livelli di consumo di alcol e i corrispondenti tassi di danni alcol-correlati al mondo. Ogni anno, infatti, 1 decesso su 10 è causato dall’alcol, per un totale di quasi un milione. L’alcol è un fattore causale per più di 200 malattie, condizioni di salute e lesioni ed è un cancerogeno umano di gruppo 1, collegato causalmente a sette tipi di cancro. Tra le misure efficaci che i governi dovrebbero adottare vi sono le politiche di prezzo e, in particolare, l’introduzione di un prezzo minimo da applicare congiuntamente a misure di tassazione degli alcolici. In ragione di ciò, il recente rapporto No place for cheap alcohol -THE POTENTIAL VALUE OF MINIMUM PRICING FOR PROTECTING LIVES – dell’Organizzazione Mondiale della Sanità esamina nel dettaglio la politica del prezzo minimo a livello globale, affrontando punti di forza e limiti e offrendo considerazioni pratiche per i diversi Paesi.

Rapporto OMS: quali gli argomenti affrontati?  

Questo rapporto fornisce per la prima volta una revisione e una mappatura globale delle politiche di prezzo minimo degli alcolici e una sintesi delle prove più recenti sul loro impatto. Discute il prezzo minimo e il prezzo unitario minimo (o MUP, che stabilisce un prezzo minimo al di sotto del quale un’unità di alcol non può essere legalmente venduta (2)) – in relazione ad altre politiche di prezzo e, soprattutto, alla tassazione degli alcolici. Il rapporto affronta anche le argomentazioni comuni contro il prezzo minimo e fornisce delle contro-argomentazioni basandosi sui dati disponibili. Discute varie questioni legali relative al prezzo minimo, comprese le implicazioni all’interno dei trattati legali esistenti e delle unioni nella Regione Europea dell’OMS, come l’Unione Europea (UE) e l’Unione Economica Eurasiatica. Infine, fornisce una panoramica dei diversi modelli di prezzo minimo e del loro potenziale impatto, in combinazione con le misure di tassazione sul mercato degli alcolici e, di conseguenza, sui consumatori, offrendo al contempo considerazioni per l’attuazione, l’applicazione, il monitoraggio, la valutazione e la revisione delle politiche di prezzo minimo.

Alcol: in ogni caso “Meno è meglio”

Anche se venisse introdotta una politica più ferrea sul prezzo minimo, l’alcol rappresenta una sostanza giuridicamente legale e dunque la scelta di consumo ricade nelle volontà del consumatore, seppur passando dall’importanza della responsabilizzazione collettiva su modalità e quantità di assunzione.
A tal proposito, nelle Linee Guida per una sana alimentazione, non si usano più termini come “consumo moderato”, “consumo consapevole” o simili, in quanto ormai assodato che non sia più possibile identificare livelli di consumo privi di rischi per la salute. Nonostante l’impossibilità di stabilire l’assenza di un livello di rischio, permane necessario definire alcuni parametri che permettano di classificare il livello di rischio minimo nelle diverse fasi della vita:

Negli ultimi anni si è diffuso, in particolare tra i giovani nel nostro Paese, un modello di consumo di bevande alcoliche completamente diverso da quello tradizionale e mediterraneo, non più ispirato ai pasti conviviali e in quantità moderate. La nuova abitudine, particolarmente diffusa tra le fasce giovanili, si caratterizza per un consumo rischioso e dannoso, episodico e ricorrente di quantità consumate a digiuno, che eccedono le sei unità in un arco temporale di solito ristretto a 2-3 ore. Questo modello di consumo, importato dai contesti nord-europei, è denominato “binge drinking ossia il “bere fino a ubriacarsi”; è un fenomeno pericoloso sia per la propria salute sia per i comportamenti a rischio che ne derivano (3), ricordando ancora una volta quanto il consumo di alcol sia a tutti gli effetti un vero problema di salute pubblica.

  1. WHO Regional Office for Europe. (2022). No place for cheap alcohol: the potential value of minimum pricing for protecting lives.
  2. Giles, L., Robinson, M., & Beeston, C. (2019). Minimum Unit Pricing (MUP) for alcohol evaluation. Sales-based consumption: a descriptive analysis of one-year post-MUP off-trade alcohol sales data.
  3. Ministero della Salute. (2022). Alcol, zero o il meno possibile
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Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: la conferenza del Ministero della salute https://testing.sprim.it/~nutrimitest/malattie-infiammatorie-croniche-intestinali-la-conferenza-del-ministero-della-salute/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/malattie-infiammatorie-croniche-intestinali-la-conferenza-del-ministero-della-salute/#respond Wed, 25 May 2022 15:31:36 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=77593

Il 19 maggio 2022, il Ministero della Salute, in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) ha organizzato una conferenza al fine di fare il punto su queste patologie, ancor più a seguito delle restrizioni imposte dalla pandemia, che hanno notevolmente ridotto l’attenzione su questa tematica.

MICI: cosa sono e quanto sono diffuse?  

Le MICI sono prevalentemente rappresentate da due patologie distinte caratterizzate entrambe da un’infiammazione cronica dell’intestino: la Malattia di Crohn (MC) e la Colite Ulcerosa (CU). L’esordio delle MICI avviene generalmente tra i 15 e i 40 e si manifestano spesso (40-50% dei pazienti) con delle manifestazioni immunologiche extra-intestinali, localizzate generalmente a livello articolare, cutaneo, oculare, epatico.

In particolare, la MC è caratterizzata da un processo infiammatorio cronico che coinvolge a tutto spessore uno o più segmenti del tratto digerente, mentre la CU è rappresentata da un processo infiammatorio cronico che coinvolge la mucosa del colon senza soluzione di continuità, partendo dal retto.

Si stima che nel mondo siano affette da MICI circa 7.000.000 di persone mentre in Italia la prevalenza complessiva di queste malattie è di 392,2 per 100mila abitanti con circa 135 su 100mila abitanti affetti da MC e 258,7 su 100mila da CU. Il numero di casi, inoltre, sembra essere maggiore tra le persone di sesso maschile (+ 25-28% circa).

MICI: processo assistenziale

Il processo assistenziale coinvolge, in momenti diversi e con ruoli diversi, più figure professionali (MMG/PLS, gastroenterologo/internista, radiologo, chirurgo, reumatologo, dermatologo, oculista psicologo). I principali obiettivi dell’assistenza sono rappresentati dal mantenimento di un buono stato funzionale e la prevenzione degli effetti del malassorbimento. Il follow-up è gestito di solito dalla struttura specialistica e dalla medicina di base; ma il paziente con malattia aggressiva o manifestazioni extra-intestinali necessita di un inquadramento multi-specialistico, in base alla gravità del quadro clinico.

I pazienti affetti da MICI, al pari di tutti gli altri assistiti, possono usufruire delle prestazioni e dei servizi garantiti dal SSN e contenuti nei LEA nelle aree principali di prevenzione collettiva e sanità pubblica, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. La MC e la CU sono inoltre inserite nell’elenco delle malattie croniche e invalidanti con codice di esenzione 009 che consente di usufruire in esenzione di oltre 30 prestazioni di specialistica ambulatoriale appropriate per il monitoraggio della malattia e la prevenzione di eventuali complicanze e aggravanti secondo quanto previsto dal d.lsg 124/98.

MICI: impatto sulla popolazione colpita

Le Malattie infiammatorie croniche intestinali hanno un rilevante impatto clinico, sociale ed economico.

Dal punto di vista clinico circa il 17% dei pazienti MICI ha ricevuto una diagnosi a ben 5 anni dall’insorgenza dei sintomi e oltre il 65% ha necessitato cure di emergenza prima della diagnosi, con necessità di intervento chirurgico fino al 40% dei casi per MC e del 20% dei casi per CU.

L’impatto sociale si riflette sulla qualità della vita, sul benessere psicologico, sulle relazioni sociali e su quelle affettive. Il 53% dei pazienti MICI dichiara infatti un significativo impatto sulla vita quotidiana, il 21% dei pazienti riferisce di aver subito discriminazione e sono numerosi gli studi europei che riportano un aumento delle assenze dal lavoro e delle disabilità. Dal punto di vista economico, infine, dai dati presentati emerge come in Europa il costo diretto annuo stimato per un paziente affetto da MC sia 2088 euro, 3542 euro nel caso della CU.

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Diagnosi e follow-up della celiachia: 7 Linee Guida internazionali a confronto https://testing.sprim.it/~nutrimitest/diagnosi-e-follow-up-della-celiachia-7-linee-guida-internazionali-a-confronto/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/diagnosi-e-follow-up-della-celiachia-7-linee-guida-internazionali-a-confronto/#respond Fri, 20 May 2022 15:13:47 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=76226 Il grano e i cereali contenenti glutine sono ampiamente consumati in tutto il mondo. Nonostante siano un alimento base nell’alimentazione globale, negli ultimi anni sono emersi sempre più casi di celiachia e, a fronte di questa problematica, le diverse società scientifiche si sono impegnate nello scoprire e validare importanti traguardi diagnostici. A tal proposito, in una recente review sistematica pubblicata sul World Journal of Gastroenterology, sono stati raccolti i dati presenti nelle Linee Guida di 7 diverse società scientifiche, al fine di individuare e analizzare le principali analogie e differenze che presentano (1).

Linee Guida: quali società scientifiche coinvolte?

1. European Society Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN) (2);
2. European Society for the Study of Coeliac Disease (ECD) (3);
3. World Gastroenterology Organization (WGO) (4);
4. Central Research Institute of Gastroenterology, Russia (5);
5. National Institute for Health and Care Excellence (NICE) (6);
6. British Society of Gastroenterology (BSG) (7);
7. America College of Gastroenterology (ACG) (8).

Celiachia: che cos’è?

La celiachia (CD) è una reazione immunomediata al glutine caratterizzata da una lesione infiammatoria dell’intestino tenue in soggetti geneticamente predisposti a causa di una risposta immunitaria inappropriata mediata dalle cellule T, fondamentali nella risposta immunitaria specifica. Si stima, a oggi, una prevalenza di circa l’1% con impatto peggiore in età infantile.
Mentre nei Paesi meno sviluppati è spesso sottodiagnosticata, nei Paesi più sviluppati l’autodiagnosi sta portando a un numero crescente di diagnosi errate, seguite da regimi alimentari immotivatamente restrittivi e potenzialmente non salutari (1). In ragione di ciò, è necessario adottare un approccio basato sull’evidenza per evitare situazioni di alimentazione errata, onerose tanto in termini di salute quanto economici.

Celiachia: i sintomi

Una volta individuata l’effettiva presenza di CD è importante procedere con un adeguato follow-up dei pazienti sottoposti a una dieta senza glutine (GFD), attualmente unica terapia nutrizionale per evitare manifestazioni cliniche nei pazienti celiaci.
Dal punto di vista diagnostico è importante ricordare che la CD è una sfida non indifferente, considerando il fatto che può si sviluppare in ogni età e si presenta con spettro clinico eterogeneo: può essere sintomatica, con sintomi classici o non classici, intestinali o extra-intestinali oppure silente e rilevabile solo con screening sierologico. Tra i sintomi classici intestinali, in particolare, emergono diarrea, problemi di crescita e perdita di peso; tra quelli intestinali non classici, invece, dolore addominale cronico, distensione addominale, stitichezza e vomito. Tra i sintomi classici extra-intestinali si manifestano soprattutto anemia da carenza di ferro, riduzione della massa muscolare e edema; tra quelli non classici extra-intestinali, infine, si ritrovano bassa statura, pubertà ritardata, amenorrea, irritabilità, stanchezza cronica, dolore articolare/muscolare, riduzione della densità minerale ossea (1).

Le Linee Guida per la gestione della CD: analogie e differenze

A proposito di quanto presentato nelle 7 Linee Guida, è interessante notare come queste abbiano sia analogie che differenze. Tra le principali analogie vi è senz’altro il processo diagnostico: infatti, la maggior parte delle Linee Guida concorda sul procedere con cautela nel contemplare la possibilità di diagnosi senza biopsia. Al contrario la World Gastroenterology Organization supporta questa possibilità nelle aree più svantaggiate, dove potrebbe mancare la disponibilità delle branche della sierologia o dell’endoscopia (4). L’approccio senza biopsia è stato sconsigliato per molto tempo, soprattutto negli adulti. Al contrario, la maggior parte delle Linee Guida recenti ha incorporato le raccomandazioni ESPGHAN 2012 per un approccio senza biopsia nei bambini (2). In generale, invece, tutte le Linee Guida concordano sull’importanza di sottoporre al test per la CD bambini, adolescenti e adulti che presentano sintomi classici e non classici (1). Per quel che riguarda il follow-up, tutte le Linee Guida concordano sull’importanza di gestirlo correttamente. Nei Paesi sviluppati, in particolare, diete non bilanciate senza glutine possono aver favorito negli anni un aumento della diffusione di problemi metabolici quali aumento di peso, sindrome metabolica e steatosi epatica non alcolica, confermando ulteriormente l’importanza di un corretto follow-up (1).

1. Raiteri, A., Granito, A., Giamperoli, A., Catenaro, T., Negrini, G., & Tovoli, F. (2022). Current guidelines for the management of celiac disease: A systematic review with comparative analysisWorld Journal of Gastroenterology28(1), 154.
2. Husby, S., Koletzko, S., Korponay-Szabó, I., Kurppa, K., Mearin, M. L., Ribes-Koninckx, C., … & Wessels, M. (2020). European society paediatric gastroenterology, hepatology and nutrition guidelines for diagnosing coeliac disease 2020. Journal of pediatric gastroenterology and nutrition70(1), 141-156.
3. Al-Toma, A., Volta, U., Auricchio, R., Castillejo, G., Sanders, D. S., Cellier, C., … & Lundin, K. E. (2019). European Society for the Study of Coeliac Disease (ESsCD) guideline for coeliac disease and other gluten-related disordersUnited European gastroenterology journal7(5), 583-613.
4. Bai, J. C., & Ciacci, C. (2017). World gastroenterology organisation global guidelines: Celiac disease February 2017. Journal of clinical gastroenterology51(9), 755-768.
5. Parfenov, A. I., Bykova, S. V., Sabelnikova, E. A., Maev, I. V., Baranov, A. A., Bakulin, I. G., … & Efremov, L. I. (2017). All-Russian consensus on diagnosis and treatment of celiac disease in children and adults. Terapevticheskii arkhiv89(3), 94-107.
6. Downey, L., Houten, R., Murch, S., & Longson, D. (2015). Recognition, assessment, and management of coeliac disease: summary of updated NICE guidanceBmj351.
7. Ludvigsson, J. F., Bai, J. C., Biagi, F., Card, T. R., Ciacci, C., Ciclitira, P. J., … & BSG Coeliac Disease Guidelines Development Group. (2014). Diagnosis and management of adult coeliac disease: guidelines from the British Society of GastroenterologyGut63(8), 1210-1228.
8. Rubio-Tapia, A., Hill, I. D., Kelly, C. P., Calderwood, A. H., & Murray, J. A. (2013). American College of Gastroenterology clinical guideline: diagnosis and management of celiac disease. The American journal of gastroenterology108(5), 656.

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Ambienti digitali, pandemia e obesità: cosa emerge nel nuovo rapporto OMS? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/ambienti-digitali-pandemia-e-obesita-cosa-emerge-nel-nuovo-rapporto-oms/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/ambienti-digitali-pandemia-e-obesita-cosa-emerge-nel-nuovo-rapporto-oms/#respond Wed, 11 May 2022 15:42:44 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=75629 L’obesità è una sfida di salute pubblica nella Regione Europea dell’OMS ormai da diversi anni, soprattutto per il suo essere un importante fattore di disabilità, di rischio per le malattie non trasmissibili (NCD) e di morte.
In ragione di ciò, l’OMS ha recentemente pubblicato un rapporto rivolto ai responsabili politici e alle parti interessate per porre rimedio alla situazione, con un occhio di riguardo all’impatto che la pandemia di COVID-19 e gli ambienti alimentari digitali hanno esercitato sull’aggravarsi dell’obesità nei diversi Paesi.

Obesità: overview europea al 2022

Il sovrappeso e l’obesità hanno raggiunto proporzioni epidemiche nella Regione Europea dell’OMS, colpendo quasi il 60% degli adulti. Anche i bambini ne sono colpiti, con il 7,9% dei bambini sotto i 5 anni e un bambino su tre in età scolare che soffre di sovrappeso o obesità. La prevalenza diminuisce temporaneamente in quelli di età compresa tra 10 e 19 anni, dove “solo” uno su quattro vive con sovrappeso o obesità.
Sono stati aumenti esponenziali quelli degli ultimi anni circa la prevalenza di sovrappeso e obesità nella Regione Europea dell’OMS, e nessuno Stato membro sembra essere sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di arrestare l’aumento dell’obesità entro il 2025.

Obesità: quali le cause principali di sviluppo?

Secondo quanto recentemente pubblicato nel rapporto, i meccanismi ritenuti responsabili dello sviluppo dell’obesità sono due: in primis lo sviluppo di obesità a partire da un’esposizione preconcezionale e gestazionale; in secondo luogo, invece, l’esposizione a fattori di rischio modificabili nel corso della vita quali, ad esempio, diete malsane e inattività fisica guidate dall’esposizione a fattori ambientali obesogeni fisici e digitali. A tal proposito, la diffusione mondiale della pandemia di COVID-19 ha avuto un profondo impatto sugli individui, sui sistemi sanitari e sulle interazioni sociali.

Obesità: come hanno influito gli ambienti digitali e la pandemia?

Le persone che vivono con sovrappeso e obesità sono state maggiormente colpite dalle conseguenze della pandemia di COVID-19. Le misure impiegate per contenere il virus, compresi i periodi di limitazione dei movimenti, di allontanamento sociale e di autoisolamento, hanno infatti portato a cambiamenti sociali significativi.
L’aumento dell’isolamento sociale, la reclusione in casa e le difficoltà finanziarie, infatti, sembrano portare frequentemente a una risposta di stress psicosociale, che a sua volta può aumentare l’assunzione di energia sotto forma di comportamenti alimentari impulsivi.
È importante ricordare che anche periodi di breve durata di assunzione di energia in eccesso possono avere conseguenze negative durature sul peso e sulla salute metabolica.
Unitamente a ciò si è assistito a un’espansione di quelli che vengono definiti ambienti alimentari digitali, ovvero ambienti online attraverso cui sono diretti i flussi di servizi e informazioni che possono influenzare le scelte e i comportamenti alimentari delle persone. Questi ambienti comprendono diversi elementi, tra cui i social media, gli interventi digitali di promozione della salute, il marketing alimentare digitale e la vendita online di prodotti alimentari. Nel contesto della pandemia, ad esempio, l’industria alimentare ha promosso notevolmente alcuni dei suoi prodotti, tra cui alcol, bevande zuccherate e alimenti confezionati dalla lunga shelf-life. Questo è stato possibile anche attraverso l’impiego di promozioni marketing legate alla consegna a domicilio e al drive-through, limitando ulteriormente i pochi momenti di movimento concessi e lasciando spazio all’interpretazione degli ambienti digitali come potenzialmente “obesogeni”.
Gli ambienti alimentari digitali stanno influenzando l’accessibilità, la desiderabilità, il prezzo e la convenienza del cibo nella Regione Europea dell’OMS. Tuttavia, questa è una sottocomponente relativamente poco studiata e sfaccettata degli ambienti alimentari. Le tecnologie digitali non sono necessariamente una minaccia per la salute pubblica; piuttosto, la questione è come la tecnologia viene utilizzata , ciò che viene pubblicizzato e come il contenuto delle pubblicità è compreso, e ciò che è disponibile sulle piattaforme digitali che possono contribuire ad ambienti alimentari digitali obesogeni o auspicabilmente non obesogeni.

1. WHO Regional Office for Europe. (2022). WHO European Regional Obesity Report 2022. Copenaghen. Licence: CC BY-NC-SA 3.0 IGO

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Giornata Mondiale della Terra: per un consumo responsabile a partire dall’alimentazione https://testing.sprim.it/~nutrimitest/giornata-mondiale-della-terra-per-un-consumo-responsabile-a-partire-dallalimentazione-diete-sostenibili/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/giornata-mondiale-della-terra-per-un-consumo-responsabile-a-partire-dallalimentazione-diete-sostenibili/#respond Fri, 22 Apr 2022 11:42:28 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=73200 Il 22 aprile si celebra il World Earth Day, o Giornata Mondiale della Terra, una ricorrenza per stimolare l’adozione di stili di vita maggiormente sostenibili e di buone pratiche per ridurre il nostro impatto ambientale nella quotidianità.

Nonostante i sistemi alimentari stiano lavorando per adeguarsi alle nuove necessità sociali e ambientali, il loro impatto sul cambiamento climatico è ancora elevato, esistono ancora disuguaglianze sociali nell’accesso agli alimenti e si assiste a un incremento della malnutrizione, tanto per eccesso quanto per difetto (1). I dati recenti, infatti, mostrano come il sistema alimentare sia responsabile di circa un terzo delle emissioni di gas serra, del 40% dell’uso di suolo e del 70% del consumo di acqua (2). In aggiunta, la malnutrizione mondiale vede da un lato 1,9 miliardi di adulti in sovrappeso o obesi e dall’altro 462 milioni sottopeso (3). L’impatto sullo sviluppo economico, sociale, medico e ambientale di abitudini alimentari scorrette è grave e duraturo, tanto per gli individui quanto per le comunità e per i Paesi. In ragione di ciò, riuscire a passare a diete maggiormente sostenibili è un obiettivo prioritario a livello mondiale.

Diete sostenibili: cosa sono e che vantaggi hanno

Vengono definite diete sostenibili: “Diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono accettabili culturalmente, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane”(4).
L’utilizzo di diete sostenibili in vari contesti di tutto il mondo rappresenterebbe il mezzo attraverso cui riformare il sistema alimentare globale, riorientando da un lato le abitudini alimentari e di conseguenza la domanda alimentare e, dall’altro, la produzione e la distribuzione, al fine di ottenere contemporaneamente effetti favorevoli sia sulla salute umana che sull’ambiente (5).

Quale ruolo hanno i professionisti della nutrizione e dell’alimentazione?

In ragione dell’impatto che le scelte alimentari possono avere nel contribuire o meno sia alla riduzione dei problemi ambientali sia alla riduzione del divario sociale e delle conseguenze sulla salute di certi regimi alimentari, è necessario adottare un approccio olistico per arginare il fenomeno. Questa consapevolezza, tra le altre cose, ha spinto il Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (di cui abbiamo parlato anche qui https://www.nutrimi.it/un-food-system-summit-il-futuro-dei-sistemi-alimentari-globali/) a considerare il passaggio a modelli di consumo sostenibili anche a partire da un percorso di educazione alimentare per i consumatori. In ragione di ciò, è implicita l’importanza del ruolo che i professionisti della nutrizione e dell’alimentazione possono avere nella transizione a sistemi alimentari maggiormente sostenibili. Con il loro intervento, infatti, verrebbe semplificato il processo di riorientamento a pratiche alimentari migliori, accelerando la trasformazione dei sistemi alimentari locali, nazionali ed internazionali (6).

1. Fanzo, J., Rudie, C., Sigman, I., Grinspoon, S., Benton, T. G., Brown, M. E., … & Willett, W. C. (2022). Sustainable food systems and nutrition in the 21st century: a report from the 22nd annual Harvard Nutrition Obesity Symposium. The American Journal of Clinical Nutrition115(1), 18-33.
2. Crippa M, Solazzo E, Guizzardi D, Monforti-Ferrario F, Tubiello FN and Leip A. (2021). Food systems are responsible for a third of global anthropogenic GHG emissions. Nature Food.
3. World Health Organization. (WHO). (2021). Fact sheet of Malnutrition.
4. FAO. (2010). Simposio Scientifico Internazionale: Biodiversità e diete sostenibili Uniti contro la fame.  
5. EAT-Lancet Commission. (2019). Food, Planet, Health – Summary Report. 
6.Carlsson, L., & Callaghan, E. (2022). The Social License to Practice Sustainability: Concepts, Barriers and Actions to Support Nutrition and Dietetics Practitioners in Contributing to Sustainable Food Systems. Journal of Hunger & Environmental Nutrition, 1-19.

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Sicurezza alimentare e alimenti del futuro: un nuovo rapporto FAO https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sicurezza-alimentare-e-alimenti-del-futuro-un-nuovo-rapporto-fao-sostenibilita/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/sicurezza-alimentare-e-alimenti-del-futuro-un-nuovo-rapporto-fao-sostenibilita/#respond Fri, 01 Apr 2022 16:12:00 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=69787 Un nuovo rapporto FAO intitolato “Thinking about the future of food safety – A foresight report” cerca di identificare, valutare e classificare i nuovi trend e i fattori che guideranno i cambiamenti futuri delle filiere agroalimentari. Questi cambiamenti, in particolare, vengono considerati dal punto di vista della sicurezza alimentare, un parametro necessario per garantire sistemi alimentari al passo con un mondo in evoluzione e sempre più attento a temi quali salute e ambiente.

Sicurezza alimentare: che cos’è?

Con una popolazione globale destinata a raggiungere i 9,7 miliardi entro il 2050, è sempre più importante parlare di sicurezza alimentare. Questo termine racchiude in sé due concetti distinti e complementari: il primo è quello di “food security”, ovvero di accesso fisico, sociale, ed economico per tutti ad alimenti sicuri e nutrienti; il secondo, invece, è food safety, che rappresenta il rispetto della qualità igienica degli alimenti in termini di parametri fisici, chimici e microbiologici.

Sicurezza alimentare: quali aree prioritarie di valutazione per la FAO?

Il rapporto presenta anzitutto l’impatto che ha avuto il cambiamento climatico in termini di capacità produttive dei sistemi agroalimentari e, come questi ultimi, si sono dovuti e si dovranno adattare per essere resilienti.
Vengono considerati fattori da non sottovalutare i nuovi comportamenti dei consumatori (sempre più attenti alle tematiche della salute) così come l’impatto delle loro richieste, che potrebbero essere accompagnate da potenziali e inesplorati rischi in termini di sicurezza alimentare. Infine, vengono esposte delle brevi descrizioni sugli alimenti emergenti, sull’attuale conoscenza in termini di sicurezza alimentare che deriva dal loro consumo, e sulle nuove tecnologie che si stanno sviluppando per garantire produzioni sufficienti sia quantitativamente che qualitativamente.
La parola “nuovo” viene usata nel rapporto per descrivere tecniche e materiali scoperti di recente, così anche per alimenti storicamente consumati in specifiche regioni del mondo, ora presenti nei mercati globali (come, ad esempio, gli insetti).

Nuovi alimenti, tecnologie e sicurezza alimentare

Una delle prime produzioni discusse in termini di sicurezza è l’allevamento di insetti commestibili, sia per il consumo umano che per l’alimentazione animale, il quale ha guadagnato un notevole interesse a livello globale grazie a potenziali benefici in termini nutrizionali, ambientali ed economici. Ugualmente viene posta attenzione alla produzione di alghe (o macroalghe) e alle meduse come fonti alimentari ad alto contenuto proteico. Questi “alimenti del futuro” necessitano una valutazione approfondita dei rischi per la sicurezza alimentare così da stabilire processi di produzione igienici e quadri normativi ad hoc. Tra gli alimenti analizzati emergono anche le alternative vegetali ai prodotti di origine animale (carne, latticini, uova e frutti di mare) per cui la sicurezza a lungo termine sulla salute è ancora tema di discussione.

Per quel che riguarda l’aspetto più “tecnologico” delle produzioni emergono in particolare le biotecnologie con la produzione di alimenti a partire da substrati cellulari; per quello più “ecologico”, invece, le coltivazioni all’interno dei centri urbanizzati come le fattorie urbane di varia scala, le fattorie comunitarie e l’agricoltura verticale al chiuso (sistemi idroponici, acquaponici o aeroponici). La coltivazione nelle città mostra vantaggi in termini di food security tanto quanto necessita ancora di approfondimenti in termini di food safety, al fine di stabilire quadri normativi appropriati specifici.
Attenzione, infine, anche ai progressi nelle nanotecnologie per lo sviluppo di imballaggi innovativi, ai nuovi metodi per la produzione di alimenti (come la stampa 3D), all’automazione dei processi, all’uso dei Big Data e alla Blockchain. Aree strategiche che hanno il potenziale per migliorare la gestione della sicurezza alimentare nel panorama mutevole dei sistemi agroalimentari, ma possono anche sollevare preoccupazioni riguardo all’adozione di un accesso equo alle risorse e alla privacy dei dati.

Il modo in cui i sistemi agroalimentari si evolveranno o si trasformeranno nei prossimi decenni, avranno profonde implicazioni globali per la nostra salute. La consapevolezza globale, le capacità e le abilità di gestire la sicurezza alimentare devono rimanere in sintonia con questa progressione, così da garantire un’alimentazione adeguata alla crescente popolazione mondiale.

1. FAO. (2022). Thinking about the future of food safety – A foresight report. Rome. https://doi.org/10.4060/cb8667en

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Tasse sulle bevande zuccherate: a che punto è l’Europa e quali strategie adottare? https://testing.sprim.it/~nutrimitest/tasse-sulle-bevande-zuccherate-a-che-punto-e-leuropa-e-quali-strategie-adottare/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/tasse-sulle-bevande-zuccherate-a-che-punto-e-leuropa-e-quali-strategie-adottare/#respond Mon, 21 Mar 2022 16:45:27 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=68584 Le tasse sulle bevande zuccherate potrebbero essere una valida strategia per aiutare i Paesi a combatte le malattie non trasmissibili (NCD) e rendere la popolazione complessivamente più sana; tuttavia, solo il 19% dei Paesi della Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sembra aver introdotto questa strategia nelle sue politiche. È quanto emerge nel nuovo rapporto pubblicato dall’OMS “Sugar-sweetened beverage taxes in the WHO European Region“, che esamina l’esperienza dei 10 Stati membri che sono stati i primi nella Regione a introdurre questa misura (1).

Bevande zuccherate e malattie non trasmissibili: quale nesso?

Il consumo di bevande zuccherate è uno dei principali fattori di rischio modificabili per lo sviluppo delle malattie non trasmissibili (NCD).
Tra le associazioni ricorrenti in un numero consistente di studi scientifici emerge proprio come un’elevata assunzione di bevande zuccherate sia correlata ad un aumento del rischio di sviluppare sovrappeso, obesità, eventi cardiovascolari, ipertensione e diabete, ovvero alcune delle più rappresentative tra le NCD.
Queste ultime sono responsabili del 71% di tutti i decessi a livello globale e la Regione Europea dell’OMS è la più colpita dalla relativa morbilità e mortalità (quasi il 90% di tutti i decessi), con costi sociali ed economici davvero elevati (sono stati calcolati infatti 210 miliardi di euro nel 2015 tra costi sanitari, perdite di produttività e assistenza informale) (2).
In ragione di questa associazione, introducendo tasse sulle bevande zuccherate, i Paesi potrebbero dunque ridurre i livelli di consumo di queste bevande e abbassare così i rischi associati (1).

Cosa evidenzia il rapporto OMS?

Il rapporto dell’OMS sottolinea, come anticipato, i risultati dei 10 paesi della Regione Europea (su 53) che hanno implementato il sistema di tassazione per le bevande zuccherate, ovvero Belgio, Finlandia, Francia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Monaco, Norvegia, Portogallo e Regno Unito.
Il sistema di tassazione è stato adottato (o notevolmente modificato) a partire dal 2004 e ognuno di questi Paesi lo ha introdotto considerando la propria struttura e le specifiche caratteristiche. La logica alla base del sistema di tassazione, dopo attenta analisi, sembra avere due inclinazioni principali: da un lato variazioni fiscali con limitate considerazioni sulla salute, dall’altro obiettivi sanitari molto più evidenti per incentivare la riformulazione dei prodotti principalmente a livello industriale.
Particolare menzione meritano proprio le industrie che, sia nei Paesi che hanno già introdotto il sistema di tassazione, sia in quelli che invece non lo hanno fatto, sembrano essere gli attori principali nell’ostacolare questa strategia.
Analizzando così pro e contro, ostacoli e risultati ottenuti dai 10 Paesi, il rapporto struttura delle considerazioni che potrebbero essere utilizzate come “Linee Guida” da adattare ai territori ancora “titubanti” a adottare un sistema di tassazione.

Quali punti emergono dal rapporto OMS?

Questi punti, o “Linee Guida”, dovrebbero guidare i decisori politici verso una strategia valida per minimizzare l’impatto che le bevande zuccherate possono avere nei confronti della salute pubblica e incentivare gli stessi a adottare quanto prima un sistema di tassazione ad hoc:
– La progettazione e l’amministrazione delle tasse sulle bevande zuccherate hanno caratteristiche universali, ma richiedono un adattamento al contesto legislativo, fiscale, economico e sanitario del singolo Paese;
– I governi possono perfezionare e adattare il disegno di tassazione, la base imponibile e l’aliquota fiscale in linea con le prove e l’esperienza, dopo un’implementazione iniziale;
– La progettazione e l’implementazione di tasse sulle bevande zuccherate che funzionano sono caratterizzate da una collaborazione costruttiva tra i responsabili delle politiche finanziarie e sanitarie.
– Una buona progettazione delle tasse sulle bevande zuccherate implica anche una considerazione strategica delle entrate generate;
– Il sostegno di attori esterni al governo può contrastare l’opposizione dell’industria e favorire l’adozione della tassa sulle bevande zuccherate;
– Le strutture istituzionali regionali e il supporto tecnico possono favorire le tasse sulle bevande zuccherate.

Come si evince da questi punti, per implementare un sistema di tassazione efficace, sarà necessario coinvolgere tutti gli stakeholders in un lavoro che considera unitamente la componente di salute pubblica ed economica, senza che una possa penalizzare l’altra e viceversa.

1. World Health Organization. (2022). Sugar-sweetened beverage taxes in the WHO European Region: success through lessons learned and challenges faced (No. WHO/EURO: 2022-4781-44544-63081). World Health Organization. Regional Office for Europe.
2. Thow, A. M., Rippin, H. L., Mulcahy, G., Duffey, K., & Wickramasinghe, K. (2022). Sugar-sweetened beverage taxes in Europe: learning for the future. European Journal of Public Health.

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Riduzione del Consumo di Sale: 5 raccomandazioni dall’OMS https://testing.sprim.it/~nutrimitest/riduzione-del-consumo-di-sale-5-raccomandazioni-dalloms/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/riduzione-del-consumo-di-sale-5-raccomandazioni-dalloms/#respond Mon, 14 Mar 2022 16:52:05 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=67940 Nonostante il consumo di sale sia ormai un riconosciuto problema per la salute pubblica (1), l’assunzione nella popolazione generale rimane ancora troppo elevata.
A tal proposito, per aumentare la sensibilità collettiva sul tema, dal 14 al 20 marzo 2022, sarà la Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale, importante iniziativa promossa dalla World Action on Salt, Sugar and Health (WASSH). Quest’ultima è un’ associazione con partner in 100 Paesi di diversi continenti, costituita nel 2005 proprio per migliorare la salute delle popolazioni attraverso la graduale riduzione dell’introito di sale ad un massimo di 5 g al giorno, come raccomandato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2).

Consumo di sale in Italia

Se a livello globale emerge come il consumo giornaliero di sale sia in media il doppio di quello raccomandato dall’OMS, in Italia i valori sono di poco inferiori. Nel periodo 2018-2019, attraverso la raccolta delle urine delle 24 ore in campioni di popolazione tra i 35 e i 74 anni residenti in 10 regioni, è stato possibile osservare un consumo medio giornaliero di sale pari a 9,5 g negli uomini e 7,2 g nelle donne, risultando inferiore a 5 g al giorno soltanto nel 9% degli uomini e nel 23% delle donne (3). Questi risultati, se confrontati a quelli del periodo 2008-2012, dove il consumo di sale giornaliero era 10,8 g negli uomini e 8,6 g nelle donne, risultano lievemente migliori (3); tuttavia, a quanto si evince dai risultati preliminari del progetto MINISAL-GIRCSI, che raccoglie i dati di 15 regioni italiane su 1519 uomini e 1450 donne di età compresa tra i 35 e i 79 anni, emerge invece come il consumo medio giornaliero non sia affatto migliorato ma anzi coincida con 10,9 g di sale per gli uomini e 8,6 g per le donne (4).
In ogni caso, che i valori siano lievemente migliori, lievemente peggiori o costanti rispetto al periodo precedente, emerge chiara la necessità di intervenire con campagne di sensibilizzazione e politiche mirate, così da portare i livelli del consumo di sale almeno a valori confrontabili con quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tanto a livello nazionale quanto internazionale.

Le 5 raccomandazioni 2022 dell’OMS

L’OMS, per la Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale, sottolinea l’importanza di ridurne l’assunzione e mette in evidenza le azioni pratiche che le autorità degli Stati membri possono intraprendere per attuare nuove politiche e promuovere la salute e il benessere.
Tra le raccomandazioni, in particolare, ne emergono cinque:
1. Non consumare più di 5 grammi al giorno
Per gli adulti
, come anticipato, l’OMS raccomanda di non consumare più di 5 g di sale ogni giorno. Per i bambini la raccomandazione è ancora meno: 2 g di sale al giorno. Si stima infatti che ridurre l’assunzione di sale anche solo del 15% eviterebbe 8,5 milioni di morti premature in 10 anni nelle economie a basso e medio reddito e potrebbe produrre un risparmio sui costi nei paesi ad alto reddito.
Gli Stati membri, a fronte di questa evidenza, hanno concordato una riduzione del 30% dell’assunzione di sale entro il 2025 quale intervento prioritario per ridurre le malattie non trasmissibili (NCD).
2. Controllare l’etichetta e scegliere l’opzione con meno sale
Considerando che in alcuni Paesi, fino all’80% del sale può provenire dagli alimenti trasformati, l’OMS raccomanda agli Stati membri di implementare un’etichettatura nutrizionale più chiara e sulla parte anteriore della confezione così da aiutare da un lato, i consumatori ad orientarsi correttamente, dall’altro, le industrie alimentari a riformulare i loro prodotti.  
3. Riformulare i prodotti salati
L’OMS ha sviluppato dei benchmark globali per stabilire i livelli di sodio in diverse categorie alimentari così da consentire l’effettiva riformulazione degli alimenti trasformati. La riformulazione, tra le altre cose, è stata identificata come politica non solo efficace, quanto economicamente fattibile e, secondo i più recenti studi, le diete contenenti prodotti che soddisfano gli obiettivi nutrizionali sembrano anche associate a una riduzione complessiva del rischio di malattia.
4. Attenzione al sale negli alimenti ordinati tramite app
Gli alimenti disponibili attraverso le app di consegna dei pasti sono associati ad alti livelli di sale, così come calorie, zucchero e grassi saturi. Dato che sempre più delle nostre decisioni relative a cibo e bevande vengono prese nell’arena digitale, è importante che le autorità sanitarie pubbliche comprendano il potenziale impatto delle app di consegna sulle NCD e sulle altre preoccupazioni di salute pubblica.
5. Concentrarsi sui gruppi vulnerabili
Considerata la maggior predisposizione al consumo di sale nelle fasce di popolazione socio-economicamente svantaggiate (consumi fino al 5-10% superiori), l’OMS invita ad agire per ridurre le disuguaglianze e sostiene un’azione unitaria per una salute migliore (5).

1. Hunter, R. W., Dhaun, N., & Bailey, M. A. (2022). The impact of excessive salt intake on human health. Nature Reviews Nephrology, 1-15.
2. World Health Organization. (2012). Guideline: sodium intake for adults and children. World Health Organization.
3. Ministero della Salute (2022). 14-20 marzo 2022, Settimana mondiale per la riduzione del consumo di sale.
4. Donfrancesco, C., Ippolito, R., Lo Noce, C., et al. on behalf of the MINISAL-GIRCSI Program Study Group. (in press)  Dietary sodium and potassium intake in Italy: main features and preliminary results of the “MINISAL-GIRCSI” program. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Disease.
5. World Health Organization WHO (2022). 5 recommendations to reduce salt intake to live longer and healthier lives

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Latte in formula: marketing ancora troppo aggressivo per l’Organizzazione Mondiale della Sanità https://testing.sprim.it/~nutrimitest/latte-in-formula-marketing-ancora-troppo-aggressivo-per-lorganizzazione-mondiale-della-sanita/ https://testing.sprim.it/~nutrimitest/latte-in-formula-marketing-ancora-troppo-aggressivo-per-lorganizzazione-mondiale-della-sanita/#respond Mon, 07 Mar 2022 17:46:41 +0000 https://www.nutrimi.it/?p=67268 Negli ultimi quarant’anni, il marketing adottato da molte delle aziende produttrici di latte in formula ha convinto molte neomamme ad abbandonare la pratica dell’allattamento al seno in favore delle formulazioni, destando non poche preoccupazioni circa la mancanza di diffusione di corrette informazioni sull’importanza della nutrizione per lo sviluppo nei primi 3 anni di vita. Questo è quanto emerge da un recente report commissionato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che si esprime duramente non tanto verso il latte in formula in sé (il quale nei casi di impossibilità ad allattare al seno è ideale) quanto invece sulla mancanza di regole nelle scelte di marketing, la quale spinge molti genitori a considerare il latte in formula preferibile a quello materno (1).

Il marketing odierno sfida il Codice Internazionale per la Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno 

Il Codice Internazionale per la Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno è un codice elaborato quarant’anni fa dall’OMS e dall’UNICEF, con lo scopo di tutelare l’allattamento al seno attraverso la diffusione pubblica di corrette informazioni e l’adozione da parte di produttori e di distributori di tecniche di marketing non persuasive e veritiere (2). Nonostante l’esistenza di questo codice, emerge ancora oggi come molte delle aziende produttrici violino le norme internazionali, cercando di influenzare con un approccio “poco etico” le decisioni dei futuri genitori. Il report, infatti, descrive quanto gli attuali messaggi di marketing stiano contribuendo a rafforzare i falsi miti sull’allattamento e sul latte materno, enfatizzando invece quanto alcuni ingredienti del latte in formula abbiamo proprietà superiori, senza alcun tipo di fondamento scientifico (1).

Cosa emerge dal rapporto?

Il rapporto raccoglie le interviste effettuate a 8500 genitori e donne in gravidanza e 300 operatori sanitari su scala multinazionale (diverse città del Bangladesh, Cina, Messico, Marocco, Nigeria, Sud Africa, Regno Unito e Vietnam). Dalle risposte ottenute è stato possibile capire quanto l’esposizione alla commercializzazione del latte in formula sia efficace: raggiunge infatti l’84% di tutte le donne interviste nel Regno Unito, il 92% delle donne intervistate in Vietnam e il 97% in Cina, incrementando la loro probabilità di preferire l’alimentazione con latte in formula.
Tra le pratiche di marketing “sleali” possiamo trovare soprattutto:
– marketing online non regolamentato e invasivo (attraverso spot in tv, video sui social…);
– reti di consulenti e numeri verdi sponsorizzati;
– promozioni e omaggi;
– pratiche per influenzare la formazione e le raccomandazioni degli operatori sanitari (1).

L’importanza di allattare al seno

Nonostante la situazione sia poco chiara, è importante ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’inizio precoce dell’allattamento al seno entro la prima ora di vita, l’allattamento esclusivo durante i primi 6 mesi di vita, e l’allattamento al seno con alimentazione complementare fino a 2 anni o oltre (3). Aumentare l’allattamento al seno potrebbe prevenire 800.000 morti di bambini sotto i 5 anni così come 20.000 morti per cancro al seno tra le donne ogni anno (3). In considerazione di ciò, dunque, risulta necessario insistere sull’importanza di allattare al seno (se possibile), evitando così che le manipolazioni esterne possano influenzare le scelte alimentari che le madri fanno per assicurare un corretto sviluppo al proprio bambino.

1. World Health Organization. (2022). How the marketing of formula milk influences our decisions on infant feeding.
2. World Health Organization. (1981). International code of marketing of breast-milk substitutes. World Health Organization. World Health Organization. (2003). 
3.Global strategy for infant and young child feeding. World Health Organization.
4. Victora, C. G., Bahl, R., Barros, A. J., França, G. V., Horton, S., Krasevec, J., … & Group, T. L. B. S. (2016). Breastfeeding in the 21st century: epidemiology, mechanisms, and lifelong effect. The lancet, 387(10017), 475-490.

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